"La prima volta in cui ti vidi eri talmente imperfetto che pensai che nonna Tilde avesse ragione. Avrei dovuto mettere sotto la tua culla otto pugni di sale, bere acqua di pozzo e invocare le anime del purgatorio" è con queste parole che viene presentato Felice, figlio di Rosalba e nipote di Tilde, nel libro di Simona Lo Iacono, “Le streghe di Lenzavacche” ed. e/o, tra i dodici semifinalisti del Premio Strega 2016 ( l’autrice sarà al Teatro Massimo di Benevento con gli altri undici autori, il prossimo 5 maggio)
Felice è figlio di un amore di quelli che tolgono il respiro, che nascono per caso, che mescolano desiderio e passione a voglia di stare insieme, ma che sono condannati all’infelicità.
Il Santo, l’arrotino, è il padre di Felice di cui Rosalba si innamora e Tilde, che conosce la vita e le erbe e trova i rimedi nella natura, non si oppone perché sa che è scritto nel destino quell’incontro con quell’uomo di cui si perde traccia.
Sono streghe Tilde e Rosalba, figlie di quelle streghe di Lenzavacche che secoli prima, nel ‘600, emarginate dal mondo, decisero di vivere insieme, isolate dal paese, condividendo la vita e la passione per le lettere.
E come loro Tilde e Rosalba sono emarginate, vivono la loro vita ai margini di una società che le scansa e che vede in quel figlio “mostro” il frutto dell’amore col demonio.
Solo i libri aiutano Rosalba a sentirsi viva e sono i libri il mezzo di comunicazione con il figlio così diverso, così malato, ma così pronto alla conoscenza.
La conoscenza che squarcia l’ignoranza e pone Rosalba e con lei Felice al di sopra della massa e le consente di combattere contro i pregiudizi del mondo, di quel mondo permeato dalle ferree, inutili regole fasciste, periodo in cui è ambientato il romanzo.
Grazie alla conoscenza e al favore del farmacista da sempre vicino alle due donne, Rosalba riesce a iscrivere a scuola suo figlio che il dire comune avrebbe condannato ad una vita di solitudine, chiuso in casa ad aspettare la morte.
E il giovane maestro Mancuso lo accoglie con speranza e anche a lui, come agli altri alunni, prova ad insegnare la Storia, quella vera, quella narrata dai vinti e non dai vincitori, in totale contrasto con le norme fasciste.
Fin qui la prima parte del libro e nella seconda, lo scenario è diverso, la narrazione ci porta all’apertura di un vecchio testamento e la storia ripercorre un passato che sembra lontano e finisce per abbracciare il presente.
Le streghe di Lenzavacche è un libro che ti entra nell’anima, ti prende i pensieri, quasi ti impone di essere letto e che fa sperare in un futuro in cui non ci saranno più emarginazioni, un futuro in cui la conoscenza aprirà le menti e renderà possibile il cambiamento, anche quello considerato più folle.
Simona Lo Iacono è nata a Siracusa nel 1970. Magistrato, presta servizio presso il tribunale di Catania. Ha pubblicato diversi racconti e vinto concorsi letterari di poesia e narrativa.
Sul blog letterario Letteratitudine di Massimo Maugeri cura una rubrica che coniuga norma e parola, letteratura e diritto, dal nome “Letteratura è diritto, letteratura è vita”. Il suo primo romanzo, Tu non dici parole (Perrone 2008), ha vinto il premio Vittorini Opera prima. Nel 2010 le sono stati conferiti il Premio Internazionale Sicilia “Il Paladino” per la narrativa e il Premio Festival del talento città di Siracusa.
Nel 2011 ha pubblicato Stasera Anna dorme presto (Cavallo di Ferro), con cui ha vinto il premio Ninfa Galatea ed è stata finalista al Premio Città di Viagrande. Nel 2013, sempre per Cavallo di Ferro, ha pubblicato il romanzo Effatà, vincitore del Premio Martoglio e del premio Donna siciliana 2014 per la letteratura.
Attualmente conduce sul digitale terrestre un format letterario dal nome BUC, trasmissione che mescola al libro varie discipline artistiche, e cura sulla pagina culturale della Sicilia la rubrica letteraria “Scrittori allo specchio”. Presta inoltre servizio presso il carcere di Brucoli come volontaria, tenendo corsi di letteratura, scrittura e teatro, tutti mezzi artistici con i quali intende attuare il principio rieducativo della pena sancito dall’art 27 della Costituzione.
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