Alberto Airoldi è un giornalista con una vita apparentemente normale.
Emigrato al contrario, dalla pianura padana, per esigenze di lavoro, si trasferisce nella pianura pugliese, in una Foggia riconoscibile dalle atmosfere, dai dettagli puntuali, dal dialetto.
Su questa trama si intreccia l’ordito di “E invece io” di Davide Grittani (Robin edizioni).
Un libro a tratti divertente che sprona alla riflessione sulla società, sul mondo della politica (dove il PD, il Partito dei Demiurghi, non ha più nulla da dire e si contrappone a FI, la Federazione Illuminata), su una professione, il giornalismo, quanto mai messa al muro, e che diventa mezzo per leggere in se stessi, nel disagio di vivere in una società allo sbando.
Alberto sembra non avere più ideali, né altro in cui identificarsi, ha sempre vissuto “in attesa del Ferragosto e poi del Natale”, è separato dalla moglie, non riesce a costruire dei rapporti stabili, ha la consapevolezza di essere un perdente.
Avverte il senso della sconfitta (tema espresso anche nella dedica a Gaetano Scirea e Francesco Nuti) e per desiderio di cambiamento o per la voglia di leggere in se stesso, si fa regalare per il suo cinquantesimo compleanno un viaggio in America Latina, posto tanto a lungo vagheggiato che sarà luogo da cui riemergere dopo una pesante e non veritiera accusa che poco prima della partenza lo porterà al centro dell’attenzione mediatica.
La calunnia e la diffamazione, ulteriori temi del romanzo, che i media amplificano all’inverosimile senza pensare alle conseguenze sull’interessato e che gli faranno dire «La calunnia non uccide ma sfregia come l’acido, e come l’acido lascia addosso un odore chimico che non va più via. Che marchia a vita, come i nazisti facevano con gli ebrei».
Il titolo del romanzo è mutuato dall’omonima canzone di Riccardo Sinigallia il cui incipit “E invece io, ci fossimo mai separati, sarei stato forse meno soggetto agli attacchi della mezza età” la dice lunga sull’intenzionalità dell’autore.
Un libro dalla scrittura vivace e coinvolgente che si svolge attraverso continue sorprese finendo quasi per diventare una anomalo thriller, carico di colpi di scena.
Inutile dire che avrebbe meritato di essere immesso nella dozzina del premio Strega al quale era stato candidato da Maria Cristina Donnarumma e Roberto Pazzi
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