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"La vita accanto" di Marco Tullio Giordana tratto dall'omonimo libro di Maria Pia Veladiano
     
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dom 01-09-2024 15:20, n.14464 - letto 163 volte

"La vita accanto" di Marco Tullio Giordana tratto dall'omonimo libro di Maria Pia Veladiano

Il commento di Maria Pia Ciani

di Maria Pia Ciani


L’ultimo fil di Marco Tullio Giordana è nelle sale dal 22 agosto.
Tratto dal romanzo di Mariapia Veladiano, La Vita Accanto, finalista al Premio Strega 2011, il libro vanta una trasposizione cinematografica dallo spessore notevole, un autentico prodotto d’autore; oltre a dirigerlo Marco Tullio Giordana firma la sceneggiatura in collaborazione con Gloria Malatesta e Marco Bellocchio. 
Così come nel romanzo, il film è ambientato a Vicenza, e per raccontare la storia di Rebecca e della sua famiglia, Giordana sceglie un cast prevalentemente veneto; Valentina Bellè è magistrale nel ruolo di Maria, la madre triste di Rebecca, Michela Cescon, il cui talento al servizio di ruoli complessi ha impreziosito tanti film d’autore, interpreta Angela la colorata madre di Lucilla, Paolo Pierobon presta il volto al mite Osvaldo, il padre di Rebecca.
Nei panni della protagonista dal volto macchiato, le giovanissime attrici Sara Ciocca, nota al pubblico televisivo nel ruolo di Lucia nella fiction Blanca e nell’ultimo film di Carrisi, Io sono l’abisso, e Beatrice Barison, la talentuosa pianista che presta non solo il volto ma soprattutto la magia prodotta dalle sue dita per la prima volta sul grande schermo.
La zia Erminia, personaggio cruciale nel romanzo e determinante nel film, è affidato alla professionalità di Sonia Bergamasco, l’eleganza nel DNA e la profondità della sua voce bucano lo schermo arrivando nette al pubblico.
I gemelli Osvaldo ed Erminia sono conosciuti in città perché provenienti da una delle più note famiglie bene vicentine, ma anche per le rispettive professioni; Osvaldo è uno stimato ginecologo, Erminia una pianista superba. Nel raffinato palazzetto d’epoca, eredità di famiglia, situato in Contrà Barche a ridosso del fiume Retrone, vive Osvaldo con sua moglie Maria.
I coniugi occupano l’ampio appartamento al primo piano; i soffitti altissimi sono arricchiti da pregevoli affreschi e maestosi stucchi, il pavimento di palladiana si estende altero in ogni stanza, gli arredi classici, le finestre lunghe e strette, le tende bianche, il salone austero dove al centro campeggia un divano in pelle marrone.
Al piano superiore, Erminia vive in una spaziosa mansarda dalle pareti bianche, le massicce travi a vista creano un piacevole contrasto con il resto dell’ambiente facendolo risaltare come un luogo luminoso.
I pianoforti sono gli arredi di quella porzione del palazzetto estremamente spartano, seppur nella palpabile raffinatezza di uno stile minimalista e ricercato.
A provvedere alle quotidiane necessità di questa famiglia c’è Laura, la governante che assiste silenziosa e partecipe agli eventi che si verificheranno, inesorabili, nelle loro vite dopo la nascita di Rebecca.
L’annuncio della gravidanza di Maria è accolto con gioia incontenibile da Osvaldo.
Maria si precipita in una corsa folle lungo le ripide scale che dall’appartamento coniugale portano alla mansarda di Erminia, i due fratelli seduti l’uno accanto all’altra in una postura che descrive un legame intimo e complice, sono intenti a suonare il piano come solitamente fanno tutte le sere.
Osvaldo stringe Maria in un abbraccio intenso. Erminia avvolge la coppia, sembra proteggerla, in realtà la sovrasta. Si tratta di una scena emblematica perchè sottolinea il ruolo fondamentale che Erminia riveste in quella famiglia, quanto presente lei sia in quella coppia.
I pochi ciak destinati alla gravidanza instillano in un pubblico attento, la sensazione di attesa del lieto evento della giovane madre, ma condito da una impalpabile tristezza.
Maria non sorride mai, nemmeno durante la gravidanza che affronta serenamente e senza alcun problema.
Durante un concerto di Erminia al Teatro Olimpico, Maria ed Osvaldo arrivati in ritardo, costringono nuovamente le persone sedute in seconda fila ad alzarsi perché Maria si accorge di essere in procinto di partorire.
Rebecca è nata. Dal vetro del nido, emozionati e felici, Osvaldo ed Erminia, che lo ha raggiunto in ospedale subito dopo il concerto, avvertono il sorriso spegnersi quando l’infermiera scopre il volto della bambina, un ampio angioma color rosso vermiglio si estende invadentemente vistoso sulla guancia destra.
Nella scena successiva Maria chiede a Laura di lasciare nel suo armadio solo gli abiti neri e blu scuro, di disfarsi di tutti quelli colorati, prova a donare il suo prezioso vestito da sposa alla giovane bambinaia che si occupa di Rebecca.
Il volto macchiato della bambina è un affronto inaccettabile per Maria, che rifiuta ogni contatto con sua figlia. Osvaldo sempre amorevolmente pacato non impone nulla a sua moglie, prova a comprendere il suo dolore senza mai cedere al rimprovero o al giudizio, la resa di un marito stanco si evince nella scena in cui Osvaldo poggia la testa sul grembo di Maria, seduta in una posa inespressiva sul bordo del letto.
Erminia, sebbene gemella di Osvaldo, non gli somiglia fisicamente ma soprattutto nel carattere; alla pacatezza di lui si contrappone l’energico pragmatismo di lei che, di fatto, afferra le redini di quella famiglia, prendendosi cura dell’educazione di Rebecca.
La bambina conosce il mondo esterno di sera, quando le strade sono meno frequentate e si riduce il rischio che possa essere vista. Potentissimo il monologo della Bellè, le parole fittamente scandite mentre scava con i suoi occhi quelli di Osvaldo, mentre gli dice quanto gli occhi degli altri possano far del male fino ad uccidere.
Giordana alterna in modo sapiente scene luminosissime ad ambienti scuri ed austeri, come la stanza nella quale Maria si reclude, piegandosi sotto le lenzuola candide di un letto con le fattezze di una bara, e lì completamente nuda, con matite colorate imprime la sua verità su un diario opportunamente nascosto.
In una sola scena, più volte rievocata dal regista, Maria abbandona il nero e veste di bianco, quando osserva di notte Rebecca dormire, ha da poco compiuto 10 anni, al di là del vetro in una notte fredda.  
Maria si copre il capo con un velo bianco, sembra una Madonna…e poi un rumore sordo viene accolto dalle acque del fiume che immediatamente si richiudono e continuano a scorrere come se nulla fosse accaduto.
Sarà quello l’evento drammatico che segnerà la fine di una prolungata sofferenza e l’inizio di una ricerca introspettiva di Rebecca. La scoperta del diario di sua madre non le fornirà le risposte, solleciterà le domande.
Nella vita di Rebecca l’amicizia con Lucilla, una bambina dai capelli rossi e dall’atteggiamento simpaticamente impertinente, le donerà luce, allegria e speranza.
Lucilla, a differenza di Rebecca, è amata dalla madre, un po' meno dal padre che le ha abbandonate per seguire l’infatuazione per una ragazzina.
Esprime in modo palesemente chiaro Lucilla il suo odio nei confronti del padre, senza mai nascondere le sue intenzioni che da pensieri poi diventeranno azioni.
Sono storie di affetti familiari mancanti, assenti o negati di cui Rebecca e Lucilla fanno esperienza in modo differente, la loro amicizia è forse una necessità.
Entrambe usano la musica per proteggersi dal dolore tipico delle “bambine rotte”, si affidano sin da piccole ad una passione che le salverà.
La macchia sulla guancia di Rebecca la rende inadeguata, attira l’attenzione ed il giudizio della gente, è causa di vergogna, forse di colpa, di una colpa originale che solo una verità sconcertante potrà cancellare. Un segreto inconfessabile a cui Maria ha fatto cenno nel suo diario, le verrà poi svelato una notte,  svegliata dalla madre di nuovo vestita di nero, che immateriale accompagna sua figlia attraverso il corridoio lungo e vetusto di quella casa fino ad una stanza dove la penombra protegge quell’affronto che le ha provocato un dolore sordo e profondo, a cui non è mai riuscita a dare sfogo, che non ha mai saputo esprimere a parole.
Null’altro si può aggiungere alla trama, rischierei di raccontare troppo compromettendo la finalità di questa rubrica; invogliare le persone ad andare al cinema.
Confesso che il mio approccio all’ultima fatica di Marco Tullio Giordana, è stato fortemente emotivo dal momento che nella città in cui il film è ambientato, ci ho vissuto per 13 anni.
Ho riconosciuto tutti i luoghi che, sebbene non mi appartengano per nascita, ho percepito familiari.
La silenziosa Piazza dei Signori nelle sere d’inverno, l’eleganza di Contrà Porti dalla quale si scorge la Basilica Palladiana, la suggestiva stradina che costeggia Villa Valmarana ai Nani, la sacralità dei portici di Monte Berico, lo scroscio del fiume Bacchiglione che accompagna chi attraversa Ponte degli Angeli, il verde prorompente che fa da tappeto alle stature situate in Parco Querini.
Ho riconosciuto anche l’ingresso dell’Ospedale San Bortolo e le stradine strette rese caratteristiche dalle case colorate di Contrà Barche.  
Il cinema ed i libri sono legati da un filo stretto, sovente l’uscita del film determina la pubblicazione di un’ennesima edizione del romanzo da cui esso è stato tratto.
Mi piace molto il modo in cui queste due forme d’arte si alimentano ed in certo senso si sostengono, così da essere reciprocamente casse di risonanza.
Ho letto in tempo di record il libro di Mariapia Veladiano, posso quindi affermare con cognizione di causa quanto sia particolare ed apprezzabile il punto di vista degli sceneggiatori che si attengono al nucleo centrale del romanzo, ma non lo ripropongono in tutte le sue sfaccettature.
E’ questa la forza del film, invoglia chi non ha letto il libro a capire meglio attraverso un confronto che se spesso è sterile, in questo caso è arricchente.
Sia nel film che nel libro i veri mostri hanno sembianze normali in quelle vite accanto.
 
 
 



 
 


 

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