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“Una cosa per la quale mi odierai” di Erica Mou
     
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sab 14-09-2024 16:56, n.14470 - letto 110 volte

“Una cosa per la quale mi odierai” di Erica Mou

Per la rubrica Letto per voi

di Elide Apice

L’intensità di questa narrazione dirompe nello stomaco, nel cuore, nella pancia.
Un racconto autobiografico che parte da una frase “ ti dirò una cosa per la quale mi odierai” che sua madre le dice un giorno come tanti altri, quel giorno che sarà il confine tra ciò che è stato e  ciò che non sarà.
Un diario tenuto da Lucia, la madre, e riaperto dieci anni dopo mentre nel ventre si affaccia una nuova vita e l’elaborazione del lutto che passa attraverso le scarne frasi che sanno di dolore, di angoscia, di speranza, di disperazione.
Per ognuna di loro, il ricordo che si fa racconto struggente, il tentativo di rimediare ai silenzi, la ricerca delle parole non dette e quelle da dire ancora e quella preghiera silenziosa e a fil di voce a quel dio che non c’è ma che se esaudisce il suo desiderio inizierà ad esistere.
Quel “Ti prego, ti prego, ti prego” come un mantra iniziatico, come viatico, come ultima speranza a ciò che è disperato e disperante.
Intorno ognuno nella propria solitudine col suo carico di impotenza, di incapacità di fare scelte.
 Piccole azioni di quotidianità che narrano di una famiglia come tante altre, fatte di amore e di piccoli screzi, di modi di dire e consuetudini tutte proprie che diventano racconto universale perché la vita, la morte, l’amore sono messaggi universali e totalizzanti, ma non tutti sono capaci di narrarli cosi divinamente.
Un racconto che spiazza, fa disperare, fa sorridere, in cui ci si ritrova, di cui si ascoltano palpiti e i battiti dei cuori che attraversano le vite e portano a conoscersi, paradossalmente meglio e più intimamente di prima,  con quella promessa di esserci sempre e non dimenticarsi.
Nove mesi di malattia che si concludono col lutto riattraversati attraverso i nove mesi di gravidanza perché vita e morte si tengono per mano e da una nasce l’altra e tutti noi non siamo altro che attori e spettatori di qualcosa che ci sembra intimamente proprio ed è invece realtà universale.



 
 


 

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