Presentato al Festival del Cinema di Cannes 2024, l’ultimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, è al cinema dallo scorso 24 ottobre, e pare sia riuscito nel miracolo di ripopolare le sale.
Scritto e diretto dal cineasta visionario, vincitore dell’Oscar nella categoria Miglior Film Straniero nel 2014 con La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino propone dieci anni più tardi un capolavoro, un’opera d’arte capace di eguagliare se non addirittura superare il film premiato a Hollywood.
Parto da un presupposto sul quale sono convinta converranno coloro che lo scorso fine settimana sono andate e andati al cinema; Parthenope è un film difficile da raccontare, deve essere visto, ascoltato e riguardato.
Sembra, a tratti, di trovarsi di fronte a La Grande Bellezza rovesciata; dalle terrazze romane si passa a quelle a strapiombo sul golfo di Napoli, dalle feste frivole nei giardini di ville pompose ai locali modaioli di Capri, da Gep Gambardella che da adulto racconta le conseguenze di un amore perduto, a Parthenope che vive l’amore mancato. Cosa hanno in comune Gep e Parthenope? L’intelligenza, la sagacia e la malinconia.
“La bellezza, come le guerre, spalanca le porte”. Parthenope, a cui presta voce e corpo una straordinaria Celeste Dalla Porta, è dotata di una bellezza disarmante, ne è consapevole ma sembra non essere interessata ad utilizzarla per trarne vantaggio.
Lei è nata nel mare, quel mare che Sorrentino riesce a rendere protagonista nella maggior parte delle scene dove l’azzurro di giorno e lo sciabordio di notte manifestano la sua costante presenza. Raimondo è il primogenito della famiglia, bello ed indolente, seducente e sofferente, soffia sovente sulla tristezza o sulla paura. Parthenope e Raimondo vivono in una villa circondata da un ampio terrazzo affacciato su una spiaggia privata, il padre appare come una persona capace sul lavoro ma fragile nella vita privata, la madre, milanese d’origine, osserva con sospetto il rapporto simbiotico che lega fratello e sorella, ne risulta alle volte infastidita.
“E’ difficile essere felici nel posto più bello del mondo”, sono le parole di Raimondo, un volto dai lineamenti gentili dove le labbra non si sollevano mai per accennare un sorriso, sempre alla ricerca della complicità di Parthenope, anche in quella estate a Capri dove erano “bellissimi ma infelici”.
Sandrino, il figlio della cameriera di famiglia, è innamorato della giovane bella e seducente; la sedia posta in terrazza che guarda verso il mare, sulla cui spalliera viene poggiato il costume da bagno, è spesso ricorrente come un’opera d’arte contemporanea, meritevole di contemplazione.
La scena si apre con l’arrivo via mare di una carrozza, dono che Achille Lauro, interpretato da Alfonso Santagata, fa al suo braccio destro per la prossima nascita di sua figlia. La carrozza, posta al centro di una grande stanza, si rende visibile in tutta la sua maestosità quando due imponenti porte scorrevoli vengono spalancate e l’impressione non è piacevole, anzi risulta essere piuttosto inquietante così come confermeranno gli eventi. Nel suo ultimo film Sorrentino parla di dolore, e lo si comprende anche attraverso le parole del cardinale Tesorone, “il dolore accompagna il tuo passato”.
E’ un film sugli amori.
L’amore giovanile di Sandrino per Parthenope che “ha dato l’illusione della spensieratezza”.
Gli amori morti a cui fa riferimento Gary Oldman nei panni dello scrittore omosessuale John Cheever, che non si lascia accompagnare da Parthenope nella sua passeggiata notturna per non “rubare tempo alla sua giovinezza”.
Gli amori insostituibili, quelli a cui si sopravvive con il capo coperto da una maschera o un ampio cappello con folte frange per coprire i danni di una chirurgia incapace di mantenere la promessa fatta: l’eterna giovinezza.
Gli amori poveri di Greta Cool, egregiamente interpretata da Luisa Ranieri, è l’attrice napoletana trapiantata al nord che con parole forti rinnega quel sud che “cammina a braccetto con l’orrore”. Evidentemente lei quell’orrore lo aveva conosciuto quando, poco più che una ragazzina, sua madre la vendeva a chiunque.
Gli amori proibiti, quelli tra consanguinei, che si manifestavano attraverso movenze distratte e seducenti.
Gli amori negati, quelli a cui non è stato permesso di nascere, perché concepiti durante una notte di capodanno cullati dalle onde del mare, ma il “Re di Napoli” non si è più fatto vivo.
Gli amori paterni, quelli da cui deriva la definizione dell’Antropologia “vedere quando manca tutto il resto”.
Gli amori combinati, quelli che fondono le famiglie e mettono fine alle faide camorristiche, poco importa se quegli amori oltre ad essere imposti vengano poi anche crudelmente esibiti.
Gli amori provati dal lutto e si lasciano andare ad una vita subita, che si sbriciola lentamente come le pareti di una dimora vetusta e triste dove restano quasi impercettibili i segni della sua antica bellezza.
Parthenope è un film dove si alternano scene delicate a scene potenti come quella all’interno della cattedrale dove si rasenta la blasfemia, ed ancora quella in cui Silvio Orlando, il professore ordinario di Antropologia, apre la porta di una stanza nella quale, accostato alla parete, c’è una brandina, quel giaciglio pronto ad accogliere il corpo stanco di un padre provato, ma estremamente affettuoso e presente. In quella stanza dove vive “l’acqua e il sale…come il mare”. Scene delicate come quella nel cortile dell’università, il professor Marotta chiede alla sua promettente assistente “da quanto tempo suo padre non l’abbraccia?”, la risposta a quella domanda sono occhi tristi su un viso bellissimo ed imbronciato, lui le chiede “vuole che la abbracci io?”, l’inquadratura procede lenta in un movimento circolare che riprende Parthenope abbracciare forte il professore nel tentativo di riscatto di un affetto paterno ormai assente da anni e ripiegato sul suo dolore, riescono a scorgersi figure distanti che evidentemente osservano quello spettacolo con gli occhi maliziosi di chi si ferma alle apparenze. Lo scambio di battute tra la laureanda ed il professore relativamente all’argomento della tesi, racchiude un mondo di riflessioni. Parthenope propone le ragioni antropologiche del suicidio, il professor Marotta le offre un cambio di prospettiva: le frontiere culturali del miracolo.
Sono pochi i ciak riservati a Stefania Sandrelli, Parthenope adulta, a cui tutti chiedevano a cosa pensasse, sempre intenta a comprendere la domanda giusta e le risposte ad effetto, sebbene siano poche le scene a lei riservate, l’effetto di quello sguardo malinconico rapisce il pubblico avvolgendolo in un’atmosfera di tenerezza.
Parthenope è un dono grandissimo, una gemma preziosa e rara, che il regista italiano più talentuoso del momento regala al suo pubblico. Parthenope è melanconica poesia.
|