mar 07-01-2025 08:30, n.14530 - letto 203 volte
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"Diamanti", al cinema l'universo femminile di Ferzan Özpetek
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La recensione di Maria Pia Ciani
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di Maria Pia Ciani
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Dal 19 dicembre scorso, Diamanti, ultimo lavoro firmato da Ferzan Özpetek, riempie le sale. E questo ci conforta perché la profezia di Mario Monicelli “Il cinema non morirà mai, ormai è nato e non può morire: morirà la sala cinematografica, forse, ma di questo non mi frega niente” , sembra, per adesso, scongiurata.
Dopo Nuovo Olimpo, mai arrivato nelle sale ma direttamente su piattaforma, il pubblico affezionato allo stile Özpetekiano, attendeva con un comprensibile curiosità di essere nuovamente stupito sul grande schermo.
Dalla scorsa primavera iniziavano a trapelare le prime indiscrezioni sul ritorno di Özpetek al cinema, ad agosto le notizie sul cast tutto al femminile: 18 attrici italiane, nomi importanti del panorama cinematografico, alcuni dei quali già protagoniste in altri suoi film.
Luisa Ranieri (in Napoli Velata e Nuovo Olimpo), Jasmine Trinca (in La Dea Fortuna e Nuovo Olimpo), Loredana Cannata (in Napoli Velata, Magnifica Presenza, La Dea Fortuna e Nuovo Olimpo), Anna Ferzetti (in Un Giorno Perfetto), Aurora Giovinazzo (in Nuovo Olimpo), Nicole Grimaudo (in Un Giorno Perfetto e Mine Vaganti), Paola Minaccioni (in Cuore Sacro, Magnifica Presenza, Mine Vaganti, Allacciate le Cinture), Elena Sofia Ricci (in Mine Vaganti), Lunetta Savino (in Saturno Contro e Mine Vaganti), Carla Signoris (in Allacciate le Cinture), Kasia Smutniack (in Allacciate le cinture), Milena Vukotic (in Un Giorno Perfetto e Saturno Contro).
Vanessa Scalera, Geppi Gucciari, Milena Mancini, Mara Venier, Giselda Volodi e Sara Bosi alla sua prima esperienza cinematografica, impreziosiscono un cast molto “artisticamente nutrito”.
Ferzan Özpetek è un regista, sceneggiatore, scrittore, di certo non è un attore. Eppure in questo film si concede di interpretare sè stesso comparendo in poche pose. Sempre intorno ad una tavola imbandita, ricorrente in tutti i suoi lungometraggi, che fa tanto “Le Fate Ignoranti”, Ferzan è in scena per spiegare il suo progetto a quel “vaginodromo” (cit. Geppi Gucciari) di cui fa parte anche Mara Venier meravigliosamente nelle vesti di zia Mara che ama cucinare e che ritiene di non doversi trattenere, ma di doversi limitare a cucinare le sue famose lasagne. Invitata a trattenersi insieme a tutte altre attrici, che in questa scena non sono ancora interpreti ma amiche del regista e chiamate a valutare il soggetto, anche la Venier, in un partecipato silenzio, legge la parte le è stata cucita addosso. La macchina da presa le inquadra soffermandosi su volti ed espressioni, offrendo al pubblico i loro suggestivi primi piani dai quali trapelano stupore, rabbia, determinazione, coraggio, tristezza, malinconia.
La scelta di Özpetek è di celebrare la grandezza di molte delle attrici con le quali ha lavorato in passato, inserendole tutte, ad arte, in un racconto interessante. Per chi conosce la sua filmografia, la dichiarata intenzione, senz’altro lodevole, di rendere omaggio ai suoi Diamanti, sottolinea tuttavia alcune assenze come quella di Margherita Buy, Giovanna Mezzogiorno, Barbara Bobulova, Isabella Ferrari, Rosaria De Cicco, ma più di tutte Serra Yılmaz, l’attrice di origini turche, costantemente presente nei suoi film. Quest’ultima è un’assenza che non passa inosservata.
Ad ogni modo il film ambientato a Roma negli anni ’70 racconta, narra le vite delle donne che gravitano intorno alla famosa sartoria delle sorelle Alberta e Gabriella Canova. La sartoria Canova è specializzata nel confezionamento di abiti di scena per il cinema e per il teatro. Quel luogo è esso stesso un palco, un set, dove si assiste ai capricci delle dive, agli scambi di battute tra chi vanta la capacità di recitare ogni sera davanti al pubblico e chi difende i teatri di posa senza cedere al ruolo subalterno di chi vuole il cinema “figlio di un Dio minore”. Un universo femminile che incarna vite. Storie di donne maltrattate e violate costrette in un matrimonio che fa della propria casa una prigione e del proprio marito un aguzzino. Madri rimaste vedove che hanno creduto ad un inganno ed ingenuamente continuano a farlo per consolarsi nel ricordo di colui che ormai non c’è più. Madri che reggono le sorti di una famiglia, mentre i padri delegano le cure affettive esclusivamente alle mogli. Donne incattivite da una vita fatta di uomini che più volte hanno deluso. Donne con la tristezza nello sguardo perché non si rassegnano ad un destino crudele. Donne energiche che con determinazione percorrono la strada verso l’emancipazione. Donne ferite che celano il proprio passano senza mai farlo intuire.
È una storia di reale sorellanza, di quella complicità che solo le donne sanno creare quando scelgono di farlo. A mio parere con questo film Ferzan Özpetek strizza l’occhio a tematiche che stanno a cuore all’universo femminile, accarezzando in modo delicato quel sentimento femminista che più o meno appartiene a tutte. Le vicende vanno certamente contestualizzate, quelli erano gli anni in cui per una donna era difficile denunciare la violenza domestica. Tuttavia ritengo che un regista abbia il potere di raccontare anche un mondo perfetto, magari utopistico, pertanto avrei preferito che mi offrisse un espediente narrativo differente, senza cadere nell’errore dell’occhio per occhio, dente per dente; non è quella la rivoluzione culturale in cui credo, il cambiamento che fortemente auspico. Così come non è mancata occasione per battute del tipo “non capisce, non ascolta, sembra partorito da un uomo”. L’idea di donne che parlano degli uomini come gli uomini parlano delle donne, mi attrae poco, ed in questo film di stereotipi ne ho visti tanti. Con Diamanti Özpetek si è senz’altro riscattato dopo Nuovo Olimpo, che personalmente ho faticato a vedere fino alla fine, ma siamo parecchio lontani dal suo capolavoro, Le Fate Ignoranti.
Al di là delle criticità rilevate secondo il mio personale punto di vista, quello che ho inserito nel mio bagaglio di conoscenze è la perfezione di Vanessa Scalera, magistrare nella sua interpretazione di una costumista premio Oscar. La Scalera con il suo monologo sulla realizzazione dell’abito rosso riesce ad essere talmente potente da portare anche al cinema la quarta parete. E’ bellissima quando provoca il rumore della pesantezza dell’abito facendo cadere un mucchio di perline. Delicata e magnetica la scena in cui Jasmine Trinca e Luisa Ranieri si abbracciano forte, dopo che le parole cruenti di Alberta feriscono irrimediabilmente l’animo distrutto di Gabriella; il volto impresso sul murales alle loro spalle diventa oggetto dell’inquadratura. Ho apprezzato Mara Venier perché ha recitato restando fedele a sé stessa. Bellissimi i foulard di Pucci e in generale la cura dei costumi. Il film è riuscito ad emozionarmi quando, nell’evoluzione della trama, regista, costumista e sarte vengono posti tutti sullo stesso piano, dove la piramide verticistica si annulla perché quando si vuole davvero realizzare un’opera d’arte, nulla possono regista e costumista senza le maestranze.
Se l’intenzione di Özpetek era quello di onorare il cinema come una produzione collettiva, un lavoro di squadra dove i titoli di coda diventano protagonisti, mi alzo in piedi ed applaudo a quest’opera che finalmente racconta che un film in realtà lo si fa dietro le quinte, al di la della macchina da presa, fuori dall’inquadratura. Se invece era quello di celebrare le donne, preferisco C’E’ Ancora Domani di Paola Cortellesi, dove ha perseguito il medesimo obiettivo con intelligenza, sagacia, ironia e poesia.
Vezzo da cinefila; nella scena in cui il regista sembra scegliere i set ed immaginare le scene, Elena Sofia Ricci fa una citazione che ricorda Silvio Orlando in Parthenope “…ciò che rimane quando tutto il resto sparisce”.
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