Una storia complessa quella narrata da Francesca Melandri in “Sangue giusto" (edizioni Rizzoli), romanzo presentato al Premio Strega 2018 da Gianpiero Gamaleri. Una storia lunga decenni che scorre su un doppio livello narrativo, quello storico con le colonie africane durante il fascismo e quello del 2010 in un‘Italia Berlusconiana che si accinge a ricevere in pompa magna quel Gheddafi che solo un anno più tardi verrà ucciso. Tra i due periodi, molte dimenticanze, orrori nascosti e l’amara consapevolezza che l’idea di fondo che mosse al colonialismo e la concezione di un’umanità che può essere relegata nella suddivisione in razze non si sia mai davvero estinta. Tra la Storia e le storie si intrecciano le vicende personali della famiglia di Attilio Profeti, classe 1915, che ha attraversato la Guerra e le colonizzazioni e ha lasciato testimonianze della sua vita in diversi figli avuti dalle due mogli. Attilio ha ormai 95 anni, ha una ex moglie, Marella, una moglie attuale, Anita, di lui si sa che è pensionato e in qualche modo ha avuto una vita importante, ha combattuto nella seconda guerra mondiale e poco altro. Cinquant’anni di segreti, di parole nascoste su quei genocidi che ancora oggi pochi conoscono, sull’infamia delle leggi razziali, su quella storia con una donna africana. Un quinto figlio giunge a sconvolgere i precari equilibri familiari, un figlio che non c’è più, ma che a sua volta ha dato vita ad un ragazzo che porta lo stesso nome del nonno e dello zio e che è nato proprio in quell’Africa da dimenticare. Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti, questo testimonia il suo documento d’identità quando si presenta a Ilaria, sua sorella. Da questo punto il desiderio di conoscenza. ll romanzo diventa quindi pretesto per narrare la Storia attraverso le vicende personale di Attilio che vengono a galla un po’ alla volta in una sequenza quasi illogica di azioni e diventa storia paradigmatica di un’Italia capace di macchiarsi di infami nefandezze e allo stesso tempo di nasconderle anche a se stessa e di continuare in un’opera di ghettizzazione anche con i nuovo profughi, quei ragazzi africani che scappano dai loro paesi e sono invece chiusi tra le mura dei centri di accoglienza. Un romanzo perfetto nella narrazione, nelle scelte linguistiche, nella capacità di intreccio, che è percorso doloroso in una coscienza collettiva e ancor di più nelle coscienze dei singoli. Una storia complessa che avvince il lettore in un crescendo di emozioni e che diventa necessario leggere per cercare di conoscere molto di più di quel periodo storico che la narrazione comune, almeno fino ad un certo periodo, ha in qualche maniera edulcorato.
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