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“Magnifico e tremendo stava l'amore” di Maria Grazia Calandrone
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mer 19-06-2024 09:23, n.14441 - letto 259 volte

“Magnifico e tremendo stava l'amore” di Maria Grazia Calandrone

Per la rubrica Letto per voi

di Elide Apice

Un caso di cronaca che scava nella mente per dieci anni e poi viene fuori come flusso di parole poetiche. La capacità di narrazione di Maria Grazia Calandrone si conferma con forza in “Magnifico e tremendo stava l'amore” (Einaudi) in cui parla di una sentenza destinata a diventare storia, che anticipa il reato di stalking e che assolve Luciana Cristallo dall’accusa di aver ucciso il marito Domenico Bruno.
Un libro di rara potenza, di grande poesia nonostante il tema trattato, che non dà giudizi ma che vuole indagare l’anima di chi, Luciana, innamorata folle del marito e forse proprio per questo, continua a tollerare la violenza di Domenico, spesso preda di incontenibili attacchi di ira.
 Un amore che nasce “magnifico” e si trasforma in “tremendo”, un amore che non è amore ma che lascia la protagonista, pur consapevole del dolore subito anche dai figli, in completa sottomissione psicologica di un marito intellettivamente e socialmente incapace, a differenza di le, di trovare un preciso spazio nella società.
C’è sempre un ultimo chiarimento, c’è sempre un momento in cui si cede o come in questo caso di organizza un ultimo incontro per fare chiarezza e spesso da quell’incontro uno dei due ne esce sconfitto.

E’ una lettura inglobante, sembra di essere un tutt’uno con la protagonista probabilmente perché la sua storia è tanto simile a quelle di tante donne che hanno avuto il coraggio di raccontarsi, empaticamente si è dalla parte di Luciana, si lotta con lei, ci si arrabbia quando la si scopre remissiva e pronta al perdono e forse è per questo che l’atto finale, per quanto non scontato e anzi esattamente contrario a quanto tutti si sarebbero aspettati, lascia con l’amaro in bocca ma con un forte senso di liberazione dal male.
Maria Grazia Calandrone con una profonda capacità di utilizzo preciso e poetico delle parole riesce a scandagliare l’animo di Luciana, quasi come se ne diventasse essa stessa parte, riesce a farci percepire i suoi sentimenti e le sue paure, riesce a restituire l’immagine di una donna condannata a vivere con un terribile ricordo per il resto dei suoi giorni pur senza dare alcun giudizio, e restituendo, al contempo, le immagini della società del tempo, gli anni ’90.
 Appare chiaro il senso di vicinanza dell’autrice a questa storia partendo dai libri precedenti di Calandrone, sua madre Lucia, sposa per forza, decide di uccidersi per riprendersi la dignità che le era stata negata, Luciana , venti anni dopo, uccide per legittima difesa, diranno i giudici, entrambe vittime di una società, tutto sommato,ancora patriarcale per quanto in evoluzione.