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dom 30-06-2019 n.12453, Antonio Esposito

Il Sud ingannato, deluso e ribelle nel teatro di Roberto D’Alessandro

“I meridionali chiedono giustizia sulla distribuzione delle ricchezze”


L’obiettivo è quello di scardinare tutti i pregiudizi sui meridionali. Quelli del sud sono davvero fannulloni, incapaci, scialacquatori? Può dirsi nazione un paese che tratta i suoi abitanti come figli e figliastri?
Lungo questi fili si dipana lo spettacolo di Roberto D’Alessandro, “La Sindrome di Stoccolma”, andato in scena al “Teatro De Simone”, a conclusione del cartellone invernale della rassegna “Benevento Città Spettacolo”, allestito dal direttore artistico Renato Giordano.
L’attore di origini calabresi squaderna tutto l’armamentario del sud penalizzato da politiche nordiste, rivangando con nostalgia i tempi in cui i meridionali “erano bravi e sapevano volare”, nel solco della teoria di Pino Aprile, per il quale i “terroni” sono stati calpestati e derubati dai conquistatori piemontesi.
Fino a quando i meridionali non si ribelleranno, fondando un loro partito o movimento, non avranno mai giustizia. Perché non si può convivere con i propri assassini.
Ma bisogna dire basta a questo Stato patrigno.
Dentro questa ottica, D’Alessandro scandaglia anche le ragioni che hanno portato all’affermazione della Lega in tante regioni del sud. Ironizza sulla difesa della razza pura, dopo che nelle nostre vene è passato tanto sangue arabo, normanno, romano, longobardo, spagnolo, francese.
“Quelli che gridavano Roma ladrona -stuzzica- si sono fregati 42 milioni di euro”.
Ora sventolano slogan come “Prima la Calabria”, “Prima la Campania”. Ma abbiamo dimenticato quando ci volevano cancellati dal Vesuvio?
L’attore recita con sferzanti frustate metaforiche, con rabbia furente e popolaresca, come un istrione buffonesco, alla Antonio Albanese, accettando finanche di candidarsi per la Lega per denaro, ma alla fine non se la sente più, perché quando deve preparare un comizio a favore del partito di Salvini, scopre che “si rifiuta ogni atomo del mio corpo”.
Allora comincia a scagliarsi contro le multinazionali e i grandi imprenditori del nord, pronti ed interessati soltanto ad incamerare i soldi dello Stato.
Prende in mano il Rapporto Svimez del 2018, sbandierando numeri e tabelle, gridando e sottolineando che il problema principale del grande divario tra nord e sud sta nella ingiusta distribuzione della ricchezza nazionale, che affonda le sue radici nell’Unità d’Italia e nel Piano Marshall.
“Perché -si chiede con forza- la spesa pubblica pro capite a Bolzano è di 527 euro, mentre a Reggio Calabria arriva appena a 23 euro? Questo spiega perché gli amministratori del nord sono bravi e capaci”.§
Il sarcastico monologo di D’Alessandro mette sotto accusa alcuni aspetti portanti dell’atavica questione meridionale, con un vagheggiamento eccessivo dei tempi andati, dimenticando le responsabilità della classe dirigente meridionale, che pure ha avuto tanto potere a Roma.
Il risveglio del sud è comunque necessario. Ma sapendo che, come diceva Giorgio Gaber, “libertà è partecipazione”.
Peccato che lo spettacolo, stimolante e di forte impatto, sia stato visto solo da una quindicina di spettatori.





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