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dom 01-09-2019 n.12500, Maria Pia Ciani

Il nuovo film di Pupi Avati

per la rubrica Cinema


Il Signor Diavolo, nelle sale dal 22 agosto, è un film di genere horror con il quale Pupi Avanti ha voluto misurarsi dopo anni dall’uscita di La casa dalle finestre che ridono (1976) ed Il Nascondiglio (2007).
Tratto dal suo omonimo romanzo, Pupi Avati racconta la paura ancestrale dell’uomo, la paura del buio e tutte le fantasie che da essa possano derivare. Alla paura si accosta la superstizione, in grado di alimentarla ed amplificarla creando false credenze percepite come fatti reali.

Ambientato nel 1952 in un paesino lagunare veneziano, un giovanissimo funzionario del Ministero degli Interni, Furio Momentè, riceve un incarico molto delicato dal suo superiore, il sottosegretario di Alcide De Gasperi: verificare la correttezza dell’istruttoria che porterà al processo per omicidio un ragazzino di 12 anni, Carlo, ai danni di un coetaneo, Emilio. La delicatezza del compito affidato al funzionario richiede, essenzialmente, di evitare che la Chiesa ed i suoi diretti ed indiretti rappresentanti ovvero il parroco, una suora (o sedicente tale) ed un sacrestano, siano direttamente coinvolti nella sinistra vicenda.

La madre della vittima, infatti, Clara Vesti Musy, una nobildonna veneziana molto potente e politicamente influente, ritiene che “suo figlio sia stato ucciso dalla superstizione” fomentata da una Chiesa oscurantista, per la quale non intende più offrire il suo contributo, impegnandosi, al contrario, per vedere “in ginocchio la DC a Venezia ed in tutto il Veneto”. L’evento si è verificato a ridosso delle elezioni, un particolare non trascurabile.

Le prime scene sono determinanti; quella della neonata nella culla, dalla quale scaturiscono le voci inquietanti su Emilio, l’altra è la punizione sovente inflitta a Furio dal suo “terribile” papà, quando era bambino veniva chiuso in una stanza al buio. Le scene citate rappresentano rispettivamente la superstizione e la paura ancestrale dell’umanità.
Lo stile narrativo è veloce, l’alternanza tra scene cupe, ambienti scuri e vetusti e scene di esterni luminosi sebbene statici, come i tramonti sulla laguna, permettono allo spettatore di gestire la tensione che la trama provoca, costantemente sottesa anche nei dialoghi apparentemente meno ansiogeni. Sembra predominare il raziocinio nelle scene luminose e la superstizione in quelle scure, in alcune i volti dei protagonisti appaiono come chiaroscuri di un racconto verosimile ma agghiacciante.

Cinefile e cinefili  non potranno non trovare, in un momento particolare del film, una similitudine con Shining, consegnando allo spettatore una discontinuità in quanto la scena in questione gode di una luce fortissima.
Bravissimi tutti gli attori, anche Alessandro Haber ed Andrea Roncato, i cui ruoli si esauriscono in pochissime battute tuttavia incisive per provare a comprendere il senso di quella vicenda complicata. Particolarmente potente l’interpretazione di Chiara Caselli, il cui dolore per la perdita del figlio è rappresentato da un vestito nero, una calza smagliata più volte ripresa dal regista nei colloqui con il procuratore e con il funzionario.

Quel vestito, quella calza smagliata rappresentano un dolore reale, al quale lei teme che nessuno creda, un dolore covato per anni a causa delle voci orribili messe in giro da una comunità bigotta e pettegola. Una calza smagliata, addosso ad una donna nobile, ricca e potente, quasi a voler dimostrare che dal momento dell’omicidio di Emilio, lei stessa abbia voluto cristallizzarsi in un guscio di tormento nero, un dolore che non conosce rassegnazione ma vendetta. Una vendetta politica temuta.

Solo una pecca, a mio avviso, che nell’economia di tutto il film risulta irrilevante se non addirittura inutile; la lettera che Furio invia a Laura, l’infermiera dove è ricoverato suo padre, conosciuta il giorno in cui dopo tanto tempo il funzionario si reca dal genitore per comunicargli di aver ricevuto un incarico importante.
La scena finale dovrebbe ricomporre tutta la storia per condurre poi lo spettatore a comprenderla, quindi chiarire il movente, le dinamiche, i singoli ruoli di tutte le persone coinvolte; insomma per conoscere la verità. Pupi Avanti, per sua stessa ammissione, propone un finale diverso da quello del suo romanzo, decisamente sconvolgente. Lo spettatore lascia la sala silenzioso, immerso in mille dubbi.

Un film da vedere, dunque, perché invita al confronto tra i diversi punti di vista e le possibili differenti interpretazioni, ma anche perché affronta in una maniera inquietante e grottesca gli effetti del potere sulle persone, sia esso potere politico che religioso e come l’errato uso di entrambi possa essere deleterio.

In un colloquio tra il fantasma del Natale Presente e Mr. Scrooge, il primo raccomanda all’uomo disumano ed egoista di stare attento in particolare a due figlie dell’uomo: l’ignoranza e la povertà (d’animo), perché possono dar luogo a danni enormi. La superstizione è figlia dell’ignoranza, l’ignoranza rende dunque le persone più facilmente plasmabili e condizionabili fino a credere che quelle false convinzioni siano verità incrollabili da difendere anche con l’estremo sacrificio. All’ignoranza ed alla povertà di dichensiana memoria, Pupi Avati aggiunge la sete di potere. La storia ha dimostrato che nelle mani delle persone sbagliate è pericolosissima.

Il regista ha annunciato che ci sarà un seguito, L’archivio del Signor Diavolo.




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