Donne prigioniere di amori straordinari, donne che mettono in gioco la propria vita, donne che non vogliono arrendersi. Sono le donne di cui Monica Guerritore narra in “Quel che so di lei” (Edizioni Longanesi) recentemente pubblicato. Il tutto a partire da quello che può essere considerato un primo caso di femminicidio portato nelle aule di un tribunale. Era il 1911, marzo, e Giulia Trigona, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, viene trovata morta in uno squallido albergo vicino alla stazione Termini. Un giovane amante, accecato da rabbia e dal desiderio del possesso, il suo uccisore, l’ultimo appuntamento, quello del chiarimento, l’inizio della tragedia. Monica Guerritore, attrice e drammaturga fa sua la triste storia, affianca Giulia in un percorso alla ricerca del perché della scelta di concedere ancora una opportunità e le affianca le eroine della letteratura da LjubovAndreevna del Giardino dei ciliegi a Emma Bovary, alla Lupa, a Carmen, alla signorina Giulia. Interagisce con una Oriana Fallaci già devastata dal male che la ucciderà, fino ad arrivare a Sally di "Mariti e mogli" di Woody Allen (di cui riuscì ad avere il permesso per una riduzione teatrale) e in ognuna di loro troverà la forza, il dolore, la devastazione per certe scelte. Otto le protagoniste della carriera di Monica Guerritore, donne che lei ha interpretato immedesimandosi fino a confondere la vita personale con quella delle interpretazione. Storie che le bloccavano il respiro e il cuore e restituivano a se stessa prima che al pubblico il molteplice universo femminile. Un libro dalla lettura coinvolgente, non un romanzo, ma un intreccio di storie legate dal fil rouge del senso di solitudine, dal dolore della perdita, dalla desiderio della rinascita. Donne accomunate dalle conseguenze per aver amato troppo o forse per aver troppo desiderato di essere amate. Bella la scelta narrativa di raccontare le protagoniste come se si stesse in un teatro dove l’autrice accompagna il lettore facendo rivivere le suggestioni di una messa in scena, le ansie dell’attesa della prima battuta, il silenzio del pubblico assorto nell’ascolto di chi, nel caso la stessa Guerritore, sul palco porta non se stessa, ma “un grande corpo invisibile creato dalla mia intelligenza e allenato ad esprimere i sentimenti”. Un invito alla riflessione la conclusione del testo, in apertura i versi di Alda Merini, in cui Guerritore si interroga sulla necessità di “elaborare il lutti, i brutti ricordi, riportandoli alla mente per cambiarli per riscrivere il finale della storia e inventare nuove trame… ” se solo ce ne sia dato il tempo.
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