 Dopo La ragazza nella nebbia, Donato Carrisi propone il suo secondo lungometraggio, L’uomo del labirinto, trasposizione cinematografica dell’omonimo libro. Inevitabile per un pubblico attento il paragone tra le due pellicole: stesso genere ovvero thriller, hanno in comune le ambientazioni scure, la sparizione di una ragazzina, la presenza di Tony Servillo, il colpo di scena finale. L’uomo del labirinto appare sin dalla prima scena un film complesso. Il labirinto ricorda il giardino di Shining, la scena in cui la vecchia educatrice della casa famiglia si avvicina alla botola per accedere alla cantina, ricorda L’avvocato del diavolo, durante percorso in auto che porta il detective dalla campagna alla città per raggiungere la stazione di polizia, è evidente il riferimento ad Eyes Wide Shut. Il film si snoda su due linee temporali ma questo lo si comprende solo alla fine. Vanessa, un’adolescente, esce in una fredda mattina autunnale per andare a scuola e non vi farà ritorno per quindici anni. Sarà trovata una sera d’inverno nuda in un bosco, lontana da lei un uomo con una maschera, la testa di un coniglio. La polizia si avvale dell’aiuto di un profiler, ovvero un professionista incaricato di tracciare il profilo psicologico e comportamentale del rapitore attraverso la ricostruzione dei suoi ricordi. La notizia del ritrovamento di Vanessa segna le due linee temporali. Le ambientazioni sono scure, dominano il rosso ed il giallo. Il rosso delle pareti dell’appartamento luogo di un efferato delitto, del fuoco che incendia la campagna intorno alla casa famiglia, del nome di Bunny protagonista di un inquietante fumetto, del sangue. Il giallo che illumina i corridoi del labirinto, della luce fioca che filtra tra le travi del pavimento dove viene imprigionato il detective interpretato da Tony Servillo, delle luci del bar, della casa famiglia, della stanza dell’ospedale dove giallo è anche il telefono. Il numero 23 compare più volte ed il film scorre mentre il pubblico è in attesa di capirne il senso. Molto bravi Tony Servillo e Dustin Hoffaman, ma la vera rivelazione del film è Valentina Bellè, la sua è un’interpretazione straordinaria. La storia, o meglio le storie, sono interessanti ma a differenza de La ragazza della nebbia dove Carrisi descrive con dovizia di particolari i protagonisti, nel suo secondo film, magari volutamente, non approfondisce i profili dei vari personaggi che invece restano sospesi. Per alcuni il movente è chiaro, lo è meno per altri. Un film sul quale non si può raccontare di più altrimenti si corre il rischio di spoilerare, ad ogni modo è un film che divide il pubblico per questo motivo lo consiglio fortemente.
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