“Per nuotare si applica il principio di Archimede, galleggia solo chi ci crede!” E’ l’unica battuta simpatica del film che ricordo e che mi ha fatto sorridere. Non stupisce che Tolo Tolo, in tutti i cinema dal 1 gennaio, sia campione di incassi. D’altra parte ci siamo già parecchio stupiti quando con “Che bella giornata” nel 2017, Zolone realizzò un incredibile quanto inaspettato miracolo, superare il record di incassi del capolavoro di Benigni “La vita è bella”. In verità, già allora cominciai a nutrire non poche perplessità. Un’ottima strategia di marketing realizzata attraverso un trailer ben costruito che nulla ha a che vedere con il film, ma lo si comprende solo dopo averlo visto. Tolo Tolo rappresenta una riuscita operazione commerciale che, ad ogni modo, piaccia o meno, ha riempito le sale e le casse dei cinema. Un film che divide, e lo fa in modo netto senza mezze misure, senza sfumature. C’è a chi è piaciuto tantissimo da ritenerlo meritevole di un Oscar, inneggiato come straordinario, geniale, strepitoso perché pare documenti in modo ironico, ma veritiero il fenomeno dell’immigrazione…come se non se fosse mai parlato nei telegiornale o nei reportage. C’è chi lo ritiene banale, stucchevole, inutile, scontato, ridondante, un modo per “cavalcare l’onda”, ipocrita. “Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli” Non è mai stato così opportuno scomodare Oscar Wilde. Al di là delle opinioni sul film, l’obiettivo è stato centrato, basti pensare che anche Famiglia Cristiana ha recensito questo film come un capolavoro, definendo Checco Zalone “il nuovo Alberto Sordi post moderno capace di raccontare l’Italia meglio di Ilvo Diamanti e Giuseppe De Rita”. Un parroco in Umbria, don Paolo di Castiglione del Lago, invece, poco dopo l’uscita de La Dea Fortuna, ha manifesto la sua disapprovazione chiedendo la rimozione delle locandine. A questo punto le mie perplessità aumentano. Tolo Tolo ha di bello la fotografia, gli occhi di Idjaba, il sorriso di Doudou, le dune del deserto. L’ipocrisia di coloro che sposano le cause umanitarie ma semplicemnte a parole; dell’Italia che è diventata un paese burocrate capace solo di affossare i contribuenti e gli imprenditori con un sistema di tassazione eccessivo; della corruzione come fenomeno “quasi indotto”, una sorta di scelta per la sopravvivenza; dell’evasione nei paradisi fiscali; della popolazione anziana che decide di vivere la vecchiaia in Paesi dove la pensione che percepiscono gli consente di essere sereni; dell’extracomunitario laureato e più colto dell’italiano; della carriera politica fatta da politici improvvisati, che diventano in virtù dello scranno conquistato, tuttologi, sapientoni, guru… Tutti temi già visti, rispetto ai quali la cinematografia italiana non è mai stata indifferente ma, a quanto pare, non è riuscita ad avere lo stesso clamore di Zalone. Mi viene in mente il più recente, Il Primo Natale che affronta il tema dell’immigrazione in modo intelligente, ma chissà come mai Famiglia Cristiana recensisce Tolo Tolo e nessun cenno al film di Ficarra e Picone. La Giusta Distanza di Carlo Mazzacurati, film del 2007, affronta il pregiudizio nei confronti dello straniero, anche se con permesso di soggiorno e con un regolare lavoro. Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani, uscito nel 2017, descrive l’ipocrisia di coloro che si riempiono la bocca di belle parole, che pontificano per il riconoscimento del principio di uguaglianza, sulla concretizzazione dei diritti di tutti, senza andare troppo lontano ma a cominciare dalle periferie italiane. Poi quando la periferia entra nelle loro case il discorso cambia. Quale miglior film di Qualunquemente di Giulio Manfredonia, nel 2011 ironizzava portando all’esasperazione un contesto politico reale ma non meno ridicolo. Un film dove la corruzione, l’incompetenza, l’approssimazione, l’ignoranza dilagante, la raccomandazione, l’assoluta mancanza di meritocrazia ci sono tutti e ben amalgamati. Giorni e nuvole di Silvio Soldini, anno 2007, narra le difficoltà di un professionista che viene estromesso dalla società di cui è alla guida dai suoi stessi soci, deve far fronte al licenziamento, la fatica di proporsi su un mercato del lavoro che di possibilità ne offre pochissime ai giovani, figurarsi ai cinquantenni. Potrei continuare perché la lista è lunghissima, una cinematografia italiana lontana e recente che ha sempre contribuito, anche se in chiavi differenti, più o meno seriose, più o meno ironiche, più o meno leggere a sensibilizzare il pubblico su grandi temi sociali, perché il cinema è anche questo; una modalità di “apprendimento non formale ed informale”. Mi rendo conto di aver scritto un commento molto diverso rispetto a quelli scritti fino ad oggi, tuttavia la trama è stata abbondantemente commentata, le uniche riflessioni che aggiungo riguardano la locandina che i titoli che accompagnano l’inizio del film (il film l’ho visto in un multisala di Sondrio), e se la memoria non mi inganna, tra gli sceneggiatori c’è Paolo Virzì. La canzoncina finale animata che descrive il viaggio della cicogna strabica, forse è il senso di tutto: bisogna nascere dalla parte giusta “Per nuotare si applica il principio di Archimede, galleggia solo chi ci crede!”
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