Ho conosciuto il Prof. Antonio Vincenzo Nazzaro nel 2011, durante il dottorato di ricerca che ho svolto a Napoli alla Federico II; egli era andato in pensione, ma seguiva ancora degli allievi e mi è capitato di incontrarlo durante gli esami che i dottorandi sostengono per il passaggio all’anno successivo. In quelle riunioni, nella stanza 106 (ma oggi la denominazione è diversa) di Filologia Classica, sede dell’Istituto di Letteratura latina cristiana, medievale, umanistica, insegnamento tenuto dal Prof. Giuseppe Germano, il mio tutor per il dottorato, un piccolo gruppo di persone teneva misteriosi conciliaboli, simili a quelle vendite carbonare di primo ‘800, durante i quali si disquisiva di stranissimi argomenti: il commento di Costantino alla traduzione greca della IV ecloga di Virgilio; gli scritti sulla superstizione di Agobardo di Lione; il Liber abaci di Fibonacci e altri straordinari arzigogoli su cui allenavamo le nostre menti, con congetture e dimostrazioni. Mi aveva colpito l’affetto e il senso di protezione che il Prof. Nazzaro mostrava per i suoi allievi, che guardava con quella soddisfazione che si prova quando si vedono sbocciare i fiori da una pianta che si è curata amorevolmente. Altre occasioni di incontro sono stati seminari o sedute dell’Accademia Pontaniana, della quale egli era Direttore Responsabile degli Atti. La frequentazione e la comune origine sannita cementò un cordiale rapporto con Tonino, come poi potei chiamarlo, grazie alla sua squisita affabilità. Quando si trattò di pubblicare la mia tesi di dottorato, il mio tutor, il Prof. Germano pensò di chiedere a lui consiglio. Il Prof. Nazzaro volle il testo della mia tesi per darne un giudizio. Qualche tempo dopo mi convocò nella sede dell’Accademia Pontaniana, l’augusto e severo istituto di Via Mezzocannone 8, per dirmi che aveva valutato la possibilità di pubblicare il mio testo insieme al Prof. Sbordone, Tesoriere dell’Accademia. Sembrava la realizzazione di un sogno. “Ma - mi disse – una tesi è diversa da una pubblicazione. Devi rivederla e togliere il troppo e il vano!” A pochi giorni dalla pubblicazione del mio libro, in Francia apparve un testo sugli stessi argomenti. Preoccupata della cosa, andai da lui per chiedergli se fosse il caso di pubblicare ancora il mio volume. Mi rispose: “Eh figlia mia, se ci fossimo fermati ogni volta che qualcuno studiava gli stessi nostri argomenti, non avremmo fatto niente! Meglio che ci sia quest’altro volume, così si vedrà chi ha ragione!” Si esprimeva così, in modo diretto, senza giri di parole, con una saggezza che non sempre si acquista con l’esperienza di vita e che in lui derivava dalla messa pratica dei principi che aveva fatto propri e su cui si basa il mondo classico, oggetto dei suoi profondi studi: nulla di troppo; c’è una misura in tutte le cose. La sua humanitas si mostrava anche in quella bonomia oraziana, che lo rendeva faceto e cordiale, con un fine senso umoristico che sdrammatizzava le paludate occasioni alle quali era spesso chiamato. Era profondamente legato alla sua terra, al Sannio tutto, ma a San Giorgio del Sannio in particolare. Nelle telefonate non mancava mai di chiedere: che si dice là da te? Quando la squadra del Benevento aveva patito la lunga serie di sconfitte in serie A, mi chiamava per commentare la situazione e si inoltrava in giudizi tecnici che rivelavano fine perizia calcistica. Recentemente aveva pubblicato con grande suo divertimento insieme a Gerardo Pedicino il libro Modi di dire di San Giorgio del Sannio e dintorni, in cui arricchiva di commenti filologici il repertorio raccolto da Pedicino dei detti popolari del suo paese e lo aveva presentato proprio a Benevento. Andava particolarmente orgoglioso dei Trucioli, una serie di 44 articoli che egli aveva scherzosamente raccolto in Trucioli ...piallando piallando, che presentavano curiosità linguistiche, aneddoti, casi storici legati alla sua patria d’origine, denominati così come il cascame del lavoro principale eseguito dal falegname. Negli ultimi tempi ci eravamo sentiti molto spesso per via di un problema alla sua casella di posta elettronica. Non riusciva più ad accedere e si scusava di non aver potuto rispondere a qualche mia mail. Gli dissi che avevo avuto problemi analoghi e che grazie ad una mia amica che lavorava in una grande azienda di telefonia avevo risolto il problema. Ne nacque quindi una complessa rete di messaggi, telefonate, mail, tra lui, me, la mia amica e vari tecnici dell’azienda telefonica per cercare di fargli riavere la sua posta. Per uno studioso di quel calibro, perdere la posta e soprattutto gli indirizzi dei suoi numerosissimi interlocutori è un danno incalcolabile. Aveva dovuto cambiare indirizzo, non poteva avvertire i suoi corrispondenti del cambiamento, non poteva sapere se gli fossero giunte missive e temeva che le sue mancate risposte sarebbero state scambiate per cattiva educazione. Mi mandò le accorate lettere che aveva scritto all’azienda in questione, che io inviai alla mia amica, che si prodigò come poteva. Alla fine ottenne solo di poter accedere ai suoi contatti. L’ultima telefonata risale a non più di venti giorni fa. A fine marzo Tonino avrebbe dovuto tenere una lezione sulla Letteratura latina cristiana presso il liceo Giannone, che lui aveva molto a cuore. Grazie a lui, ho potuto ottenere in dono per la Biblioteca F. Corazzini del liceo molte bellissime pubblicazioni dell’Accademia Pontaniana. Nella scheda che ho redatto ho annotato: dono dell’Accademia Pontaniana per interessamento del Prof. Nazzaro, in modo che resti traccia dell’amore che egli provava per la nostra città, anche se non mancavano dei rimproveri per qualche aspetto che non gli piaceva. In quell’ultima telefonata decidemmo di rimandare a dopo Pasqua il suo intervento al Liceo, sperando che questo triste periodo di confinamento fosse terminato. Non potevamo sapere che quello sarebbe stato l’ultimo colloquio e che il confinamento non sarebbe finito. Un altro suo intervento, solo telematico, il 13 marzo scorso, quando a sorpresa ha commentato un mio post su Facebook, che egli frequentava pochissimo. Io avevo scherzosamente scritto in reazione al confinamento a cui siamo costretti: “Il prossimo provvedimento: respirate poco!” Ed egli aveva commentato, con un misurato rimprovero: “L'ironia aiuta molto. Ma la situazione è davvero seria”. Sì, seria, caro Tonino, che te ne sei andato all’improvviso, lasciandoci attoniti. Non posso crederci che sono qui ora a scrivere in tua memoria. Te ne sei andato come Leopardi, nel bel mezzo di un tremendo morbo, per cui non ti si potranno tributare gli onori che meriti; non ti si potrà dare che col pensiero un estremo saluto. Hai lasciato gli appuntamenti a cui non volevi mai venir meno per quella seria dedizione al lavoro inteso anche come pratica cristiana, come la lectura patrum Neapolitana, che tenevi una volta al mese da novembre a maggio presso le suore Piccole Ancelle di Cristo Re sin dal 1980. Non potrai dare il tuo affetto di nonno alla piccola che aveva allietato la tua famiglia, ma che ti conoscerà dalle opere che hai creato. Sarebbe inutile qui fare l’elenco lunghissimo delle cariche che egli ha meritato; delle accademie di cui è stato socio, degli incarichi che ha ricoperto; degli studi che ha pubblicato. Il suo curriculum vitae si può leggere sul sito dell’Accademia Pontaniana. A noi resta il ricordo di un Maestro.
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