Ecco altre dieci proposte per il Premio Strega 2021: «Il libro delle case» di Andrea Bajani (Giangiacomo Feltrinelli Editore), proposto da Concita De Gregorio «Candido al Premio Strega 2021 il romanzo di Andrea Bajani Il libro delle case. Lo faccio con la gioia di chi ha trovato posto nelle pagine di un libro, e vuole condividerli: la gioia, il posto. Lo faccio con la meraviglia di chi si sia imbattuto nella bellezza come un panorama che arriva inatteso dopo una curva, e deve fermarsi perché la bellezza comanda, chiede silenzio e rispetto, si insedia e resta. Di cosa parliamo quando diciamo “io”, cosa definisce la nostra identità se non lo sguardo di chi ci guarda: è lo sguardo che fa il mondo. Chi siamo – chi saremmo – se non esistessimo negli occhi di chi ci vede: essere visti, questo è tutto. Qui, nel libro di Andrea Bajani, sono le case che ci guardano. Le nostre case, tante, diverse, inevitabili, occasionali, furtive, amate e disamate, misteriose, illuminate, le case che abbiamo attraversato: quelle dove siamo stati neonati, figli, amanti, intrusi, ingenui, cospiratori, padri, vincitori, fuggiaschi e poi ora, ecco, un’altra casa, l’ultima, ma non ancora ultima invece. Le case conservano memoria di noi e di chi prima di noi le ha abitate: i pensieri da altri pensati, i nostri mai detti e non finiti di pensare, la pena di un prigioniero, la smania di un poeta, l’attesa di una donna, il pianto di un ragazzo, un tradimento, un delitto, un’allegria. Le case sanno chi siamo e custodiscono tra le mura il segreto. Andrea Bajani chiama a raccolta le tracce lasciate dal passaggio di qualcuno che, per semplicità, diciamo: Io. Cesella una lingua che da parole antiche sprigiona significati inauditi e correndo, lentamente, viaggia nella memoria, nel desiderio, nel bisogno. Nel sentimento di onnipotenza che ci coglie ogni volta che, partendo, cambiamo casa per cambiare il mondo – il nostro mondo, il mondo intero – e la risacca, invece, in direzione contraria, che ci riporta sempre a tutto quello che non sappiamo di aver dimenticato.»
«Il pane perduto» di Edith Bruck (La nave di Teseo), proposto da Furio Colombo «L’ultimo libro di Edith Bruck (Il pane perduto, La nave di Teseo) unisce in un’unica grande opera ciò che l’autrice ha visto, vissuto, pensato e scritto: un’amorevole dolcezza prosciuga altri sentimenti (come l’odio legittimo per l’orrore e i carnefici), perché Edith è salva e tenuta in vita da un legame fortissimo, un misto di orgoglio e pietà affettuosa per chi, come lei, è stata spinta nella galleria dell’orrore. Nella visita sul fondo della memoria Edith ripercorre il miserabile inferno preparato meticolosamente dai suoi aguzzini (tornati come in un incubo), vittime di una solitudine che si nutre di morti. Ma la vita è troppo forte e l’istinto, ancora bambino, di saltare avanti è troppo grande. E quando, nella realtà come in questo nitidissimo racconto, vita e morte, distruzione e futuro si spaccano, Edith è già saltata sul lastrone della vita. E qui il libro diventa un racconto che devi leggere fino all’ultima pagina, di storia, di vita, di amore.»
«Parigi, e il padre» di Giovanni Catelli (Inschibolleth), proposto da Maurizio Cucchi «Giovanni Catelli, poeta e autore di un importante libro sulla precoce e sinistra morte di Albert Camus (Camus deve morire, 2013), già tradotto in Francia, ha scritto un’opera in prosa, Parigi, e un padre (Inschibboleth), che si distingue per l’originalità dell’impianto e dello stile, per la solida qualità letteraria. Si tratta infatti, senza dubbio, di un libro di narrativa, ma composto secondo una modalità particolare e raffinata, e cioè l’articolarsi e il succedersi di brevi – quanto intensi e trasparenti – frammenti di prosa, vivi di una loro interna efficacia lirica. Una narrazione poetica, quella di Catelli, che si realizza nel riferimento a una città amata, Parigi, nel doppio registro d’epoca e di figure: il tempo più lontano del padre (anni Cinquanta) e quello successivo (anni Settanta), con la presenza del figlio giovanissimo che è anche chi narra in prima persona. Ne scaturisce una visione – ricca di concreti dettagli e di realtà – dei mutamenti storici della città (e dunque della civiltà europea nel tempo) e insieme il sovrapporsi e distinguersi del sentimento dei due personaggi, per sé stessi e per il mondo in cui vivono o vorrebbero vivere. Nell’insieme si possono riassumere così, ovviamente molto semplificando, i pregi dell’opera di Catelli: sensibile attenzione ai mutamenti storici di una grande capitale dell’Europa, aspettative e realtà di due generazioni in un luogo per tanti aspetti emblematico e mitico, valore in controtendenza dello stile che permette all’autore di permeare la sua prosa di evidente energia poetica.» «Borgo sud» di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi editore), proposto da Nadia Fusini«Con quest’ultimo romanzo, Borgo Sud, Donatella Di Pietrantonio si conferma scrittrice di grande forza e solidità, che sa trovare la parola esatta per dire i sentimenti, grazie a una scrittura scabra ma densissima, che ha un passo tutto suo nel solco di una solida tradizione. Qui a tema è il legame tenace, ondivago, spesso ambivalente tra sorelle, creature diverse eppure riconducibili alla stessa matrice, quella madre riluttante che in Borgo Sud è la ferita originaria per entrambe. Donatella Di Pietrantonio racconta da sempre le spire dolorose del rapporto madre-figlia, ma in questo romanzo intenso e abilmente tessuto dal punto di vista narrativo, le due sorelle protagoniste sanno trovare l’una nell’altra conforto, pungolo, salvezza. Nella lunga notte in cui si mette in viaggio per ricongiungersi ad Adriana, la sorella indocile, spericolata, la narratrice compie un viaggio coraggioso nella memoria, in un andirivieni naturale, emozionante, seguendo il filo sottile e resistente dei ricordi. Perché allontanarsi, nello spazio e nel tempo, non basta a volte a ricucire gli strappi, a dimenticare certi amori giovanili precipitosi. L’appartenenza, nei romanzi di questa scrittrice, più che una condizione è infatti un movimento, una negoziazione continua con le proprie radici, i propri luoghi, così peculiari e tuttavia così universali, perché letterari. Per questi motivi desidero presentare Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio al Premio Strega 2021.»
«I lupi di Roma» di Andrea Frediani (Newton Compton editori), proposto da Massimo Lugli «Un poderoso affresco storico, un ritmo serratissimo, un’ambientazione di rara efficacia nell’Italia del 1200. Presento, con grande entusiasmo, il romanzo di Andrea Frediani I Lupi di Roma all’edizione del 2021 del Premio Strega: un’opera tanto precisa nelle ricostruzioni d’epoca quanto avvincente nella trama, nei dialoghi, nella descrizione e nel carattere dei personaggi, sia storici che di fantasia. La trama si snoda agilmente tra le complesse vicende della famiglia Orsini, impegnata in una feroce lotta di predominio con le altre nobili casate capitoline: Colonna, Annibaldi, Malabranca, oltre che con gli emissari francesi, guelfi e ghibellini, in un continuo formarsi e disgregarsi di alleanze, rivalità, manovre politiche, colpi di mano, vere e proprie azioni di guerra. In questo viluppo di odi, rancori e vendette incrociate sbocciano due, disperate, storie d’amore nate sotto un destino tragico e osteggiate dalle rispettive famiglie che riportano a suggestioni shakespeariane. Con la maestria del grande raccontatore, Frediani fa immergere il lettore in uno scenario cupo, infido, violento e, al tempo stesso, estremamente affascinante. Al di là delle vicende dei Lupi di Roma, gli Orsini, appunto, il vero tema centrale della narrazione è il Potere. Un potere assoluto, totalizzante, spietato, che si conquista con le trattative per i voti di un conclave, con un matrimonio di convenienza, con l’omicidio, l’inganno, il ricatto, lo stupro. L’autore va molto oltre la narrativa di genere, evita qualsiasi pignoleria da erudito che possa rallentare la narrazione. I dialoghi serratissimi, i personaggi perfettamente descritti, l’alternarsi continuo dei piani narrativi coinvolgono il lettore dalla prima all’ultima pagina. La Roma dell’epoca, una città livida, sporca, crudele, pericolosa e, al tempo stesso, imponente, fastosa, scintillante di dimore patrizie e monumenti già in rovina, viene descritta con un’efficacia manzoniana rarissima, purtroppo, in tanti altri romanzi storici anche di grande diffusione. Frediani gioca abilmente tra l’antico e il moderno, riporta spesso contraddizioni e storture che possiamo paragonare fin troppo facilmente a quelle dei giorni nostri senza mai cedere a tentazioni moraleggianti. Racconta e basta. Neanche una nota a piè di pagina che potrebbe interrompere il ritmo di lettura: tutto è spiegato agevolmente nel testo. Un’opera di grande maturità stilistica che regala al lettore molto di più di un semplice intrattenimento: la sensazione di aver capito molto di più di un periodo storico che appartiene indissolubilmente al nostro passato.»
«Mentre tutto cambia» di Fabio Guarnaccia (Manni Editori), proposto da Antonio Pascale «Che bella sensazione, come lettore, dico, leggere uno scrittore capace di raccontare una storia con mano delicata. D’accordo, ma che intendiamo con l’aggettivo “delicato”? Premessa. Fabio Guarnaccia ci parla dell’estate del 1989, un’estate usuale, ma non per il protagonista e i suoi amici, ragazzini di 14 anni che scopriranno come tutto cambia mentre si vive convinti che nulla cambi. Dunque, perché Guarnaccia ha mano delicata? Perché attraverso lo sguardo dei suoi protagonisti racconta le famose prime lacrime, quelle che versiamo quando sentiamo l’emozione venir fuori, appunto, per la prima volta: come dire, quando sentiamo senza capire. È il famoso effetto straniamento, se raccontiamo le cose solite come se si vedessero per la prima volta, allora ci accorgiamo di quante visioni e particolari ed emozioni abbiamo perduto. Così è per questo romanzo, Mentre tutto cambia. Qui, un gruppo di ragazzini alla periferia di Milano ci porta, delicatamente, al centro delle nostre emozioni più antiche, primordiali e tuttavia indispensabili per prepararsi alla vita. Che poi spesso si vive senza capire. Tuttavia si può sentire, e Fabio Guarnaccia lo sa e ci fa sentire cosa si sente mentre tutto cambia.»
«Le ripetizioni» di Giulio Mozzi (Marsilio), proposto da Pietro Gibellini «Questo libro di Giulio Mozzi è un romanzo che riesce a coinvolgere e a parlare di noi, senza che l’autore passi, come accade spesso nella narrativa contemporanea, attraverso la cronaca. Il legame che ci connette l’uno l’altro, racconta Mozzi, è una particolare forma di violenza, interna alla nostra coscienza: può sfociare nel gesto aggressivo o imboccare il sentiero dell’amore. Il romanzo di Mozzi è infatti un romanzo di amore e violenza, di tradimento e di quelle “ripetizioni” che danno, a ciascuno di noi, il senso della realtà. Con un linguaggio e suggestivo e preciso al tempo stesso, l’autore conduce Mario, il suo protagonista, attraverso avventure in parte sospese tra realtà e immaginazione, che lo portano a sfiorare vite strane e misteriose di personaggi senza nome: il Grande Artista Sconosciuto, il Terrorista Internazionale, il Martellatore di Frati, il Capufficio… Mario li contempla come enigmi incomprensibili e rivelatori. Arrivando, nell’ultima pagina, a una sgomentante conclusione: non farà nulla. Della propria vita né delle proprie storie. Candido il romanzo di Mozzi per l’originalità tematica, stilistica e ideologica. A differenza di tanta narrativa che corteggia il bene astratto e la quiete consolatoria, raccontare del male e del disordine che si annida in ciascuno di noi significa indagare la nostra possibilità di redenzione e speranza.»
«La felicità degli altri» di Carmen Pellegrino (La nave di Teseo), proposto da Alessandra Tedesco «Un romanzo sull’infanzia negata, sulle ombre che ci camminano accanto, sulla voglia di essere riconosciuti e amati. Con una scrittura elegante e raffinata, con riferimenti alla cultura dell’antica Grecia, al mito e alla religione, Carmen Pellegrino racconta la storia di Cloe, una donna che deve fare i conti con l’abbandono dopo essere cresciuta in una casa-famiglia. Ma deve anche fare i conti con la rabbia verso la madre (responsabile, ai suoi occhi, di tutta la sofferenza) e con il senso di colpa verso il fratellino scomparso da piccolo. Come dice la stessa voce narrante, è la storia di un’anastilosi, di un restauro di sé a partire dalle macerie seminate nel corso dell’esistenza. Raccontare il dolore dei bambini è tema delicato, si potrebbe cedere a una narrazione cupa e straziante e, invece, Carmen Pellegrino ha avuto la sapienza di agire per sottrazione dando vita a una storia in cui i “non detti” pesano più degli eventi narrati.»
«Beati gli inquieti» di Stefano Redaelli (Neo Edizioni), proposto da Roberto Barbolini «Molte sono le maschere della follia. Se vogliamo raccontarla, dobbiamo indossarne una (o più di una) anche noi. È quanto fa, apparentemente a scopo di studio, l’io narrante di Beati gli inquieti, ospite volontario della Casa delle farfalle, una clinica psichiatrica. Ma via via che la florida polifonia della costruzione narrativa dà voce alle fantasie e alle rimostranze, alle paranoie e ai sogni dei cosiddetti “matti”, la distanza tra ragione e follia sfuma e quest’ultima si trasforma in una implacabile lente d’ingrandimento puntata sul senso (o il nonsenso) dell’esistenza umana e della realtà stessa. In questo romanzo sorprendente, che dal rigagnolo spazia alla Via Lattea, non c’è però nulla di nichilistico. Stefano Redaelli sa che il battito d’ali di una farfalla a Tokyo può provocare un uragano a San Francisco; ma l’apocalisse indotta da questo inquietante “effetto domino” ha il sapore originario di una rivelazione, struggente e salvifica insieme, che riguarda tutti noi.»
«Adorazione» di Alice Urciuolo (66thand2nd Editore), proposto da Daniele Mencarelli «Adorazione è un romanzo sulla complessità dell’adolescenza che attrae e respinge, esattamente come i caratteri dei ragazzi che danno vita alle vicende raccontate, come i luoghi dove tutto avviene, la provincia di Latina, Pontinia, terre nuove, paesi con una storia appena principiata. Alice Urciuolo intesse il suo esordio attorno a un’estate vissuta intensamente, la stagione che più si addice ai ragazzi e alla loro passione. Diana, Vera, Giorgio e Vanessa, sono gli attori di una vicenda che ha il suo nucleo piantato nel passato: l’omicidio di una loro amica, Elena, per mano del suo fidanzato. A distanza di un anno, il gruppo di amici tenta di uscire dalla tragedia e di gettarsi a capofitto in quel che più desidera: crescere. Sperimentarsi. Anche a costo di soffrire e far soffrire. Adorazione canta la fame di vita di un’intera generazione, che nella libertà sessuale tenta di dimenticare la sofferenza affettiva e il senso di vuoto, spesso lasciato da adulti che mancano di risposte e di coraggio. Coraggio, invece, incarnato dall’autrice, capace di utilizzare le diverse lingue e forme narrative del nostro squilibrato presente.»
Dal sito premiostrega.it
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