La sua terra coi suoi colori, i suoi incendi ed i suoi naufragi. Corpi umani che portano nel cuore, nelle viscere e perfino nei capelli i loro tormenti. La ricerca affannosa di un approdo, di un’armonia, di un equilibrio, tra i flutti di una vorticosa esistenza. Un viaggio tra la memoria e il sogno. Questi i tratti salienti che emergono dalle opere di Arturo Pagano, esposte al Museo Arcos di Benevento, in una mostra antologica che raccoglie dipinti e disegni che vanno dal 1977 al 1985, curata da Massimo Bignardi e Ferdinando Creta. L’artista, originario di Torre del Greco, ma trapiantato dai primi anni ottanta a Benevento, presenta per la prima volta il suo itinerario formativo e creativo in maniera così completa. “Questa mostra -racconta Pagano- documenta la mia storia, le mie radici, l’utilizzo di varie tecniche e materiali, dalla pittura alle installazioni, dalla carta al vetro, dal ferro all’alluminio. Per fortuna non sono mai stato inquadrato in alcuna corrente. Mi sento un po’ come un battitore libero”. L’allestimento espositivo, che è stato curato da Italo Mustone, ci consente di cogliere le varie fasi dell’ispirazione artistica di Pagano. Le sue pennellate si dipanano tra un vellutato rosso pompeiano e delicati azzurri marini. Quasi in tutte le 40 opere esposte vibrano slanci ed abbracci tra gli esseri umani, che sembrano pronti ad accarezzare il mondo coi suoi problemi, per spingerlo avanti su sentieri di luce. Le teste delle figure sono spesso pensierose, ondeggianti e capovolte, quasi in lotta per salvare l’umanità. “Nello scenario delle giovani esperienze creative degli anni ottanta -scrive Bignardi- nel Mezzogiorno d’Italia, la personalità di Arturo Pagano si caratterizza per la sua inquietudine, per quel continuo mettersi in gioco, rinnovarsi: una tensione introspettiva, velata da un’ombra malinconica, che alimenta l’eclettismo che è proprio della sua creatività. La sua attività comincia sotto il segno di una pittura dai toni decisamente figurali. Poi si avvicinerà alla “nuova scuola romana” ed infine si nutrirà delle immagini, che, giorno dopo giorno, affiorano dai luoghi magici della sua terra, ritrovando una profonda identità esistenziale”. L’antologica di Pagano resterà aperta fino al prossimo 20 giugno. Gran parte delle opere esposte sono emerse dal fango dell’alluvione dell’ottobre 2015. Molte altre sono andate perdute in quella tragica notte. “Fummo i primi ad essere allagati -racconta Clementina, moglie dell’artista, alla quale è dedicato il bellissimo catalogo- perché abitiamo nella contrada Malecagna. Qui strariparono il torrente e il fiume Calore. Il piano terra della nostra casa fu totalmente sommerso. Si sono salvati solo quei pochi dipinti e disegni contenuti in grandi buste di plastica. Furono dispersi due cassoni con opere di recenti mostre”. La stagione espositiva del Museo Arcos riparte finalmente col pubblico dopo la lunga interruzione dovuta alla pandemia. La stessa mostra di Pagano è beneaugurante. Appena si entra per la visita, infatti, ci accoglie subito la sua prima opera che raffigura un nove di denari, col promettente titolo “Una buona carta”. Poi ci imbattiamo in dipinti di grandi e piccole dimensioni, tra i quali campeggia “Questa è la mia terra”. Molto suggestiva la figura incastonata nella cornice come un’icona delle tipiche edicole votive che s’incontrano nei vicoli di Napoli o di Benevento, intitolata, come una preghiera, “Tira i fili della mia anima”.
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