▪️ «Nova» di Fabio Bacà (Adelphi Edizioni), presentato da Diego De Silva. «Fabio Bacà è l’ex esordiente più anomalo che conosca. Alla terza pagina del suo primo romanzo, Benevolenza cosmica, ero già fuorviato dalla maturità di una scrittura in cui non c’era ombra di acerbo, di veniale. Come un musicista giovanissimo che suona lo strumento perfettamente, e per di più inventa soluzioni armoniche mai sentite. A conquistarmi del tutto fu il senso dell’umorismo, una dote di cui pochi autori dispongono. Poi esce Nova, un libro diverso, letterario nel senso più seducente del termine, che racconta a scopo di riflessione. Parla di violenza e di vigliaccheria. A queste due categorie inflazionate dall’etica restituisce un senso culturale molto più autentico e comunemente sottostimato. La scrittura ha una puntualità e un’esattezza che mi hanno confermato il valore di un autore che oggi trovo ancora più forte di quando l’ho conosciuto. Presentarlo allo Strega è un vero motivo di orgoglio. Perché su Bacà avrei scommesso fin da subito.» ▪️ «Perché non sanno» di Dario Buzzolan (Mondadori), presentato da Paolo Mieli. Con queste righe intendo presentare alla vostra attenzione Perché non sanno, romanzo di Dario Buzzolan (Mondadori).«E poi saremo salvi non è solo la storia di Aida, profuga bosniaca che giunge in Italia appena in tempo per sfuggire agli orrori dei massacri. È anche quella di un padre a volte padrone e a volte bambino, di una madre che comprime il profondo e a tratti disperato amore per i figli al punto di dare talvolta l’impressione di essere assente. E infine è anche la storia di due schizofrenie entrambe vere: quella che ha lacerato i Balcani e l’altra, quella che affligge Ibro, il fratello di Aida, un crudo quadro di realtà che in alcuni passaggi diventa un commosso inno alle fragilità dell’essere umano. A ciò si aggiunge il pregio della scrittura di Alessandra Carati che non si concede al di più, non ha tempo da perdere. La storia che narra è una catena priva di anelli deboli o se si preferisce un rosario laico dove ciascun grano va tenuto tra le dita il tempo necessario per meditare ciò che gli spazi bianchi lasciano intendere. Il lettore goloso di novità vi trova di che soddisfare il suo appetito, il neofita potrebbe usare E saremo salvi come viatico per entrare con stupore nel mondo in cui una penna riesce a raccontare il bello e il brutto della vita, i ricatti dei sentimenti, la necessità dell’egoismo quando si sta per affogare. Anche la pace di chi riesce a salvarsi pagando il debito di scelte inevitabili destinate a diventare cicatrice dell’anima. Difficile staccarsi dalle pagine di questo romanzo fino alla silenziosa nevicata che lo chiude, offrendo al lettore l’ennesima sorpresa.» Opera di ampio respiro, distesa lungo un arco cronologico ventennale, Perché non sanno riesce nell’intento, oggi raro, di incarnare personaggi vivi entro la nostra contemporaneità, in particolare in quel complesso movimento di crisi finanziaria, bancaria ed economica che ha segnato dolorosamente gli ultimi quindici anni. La vicenda di Cecilia, giovane donna costretta a misurarsi troppo presto con la perdita e con la necessità e a ricostruire da sola la propria vita, trascorrendo faticosamente dal buio alla luce, diventa così emblema esistenziale e storico senza tuttavia perdere l’umana concretezza di un personaggio nitidamente stagliato, capace di permanere a lungo nell’anima del lettore. In questa capacità di fondere vita e storia in una trama avvincente, caratterizzata da un linguaggio essenziale e profondo e da una struttura narrativa sorprendente, Buzzolan conferma l’attitudine non comune – già rivelata in opere precedenti – a trasformare il romanzo in un mondo, indagando le radici dell’oggi con rigore quasi storiografico e, al tempo stesso, con la pietas di chi si sente in pulsante connessione con le vicende e i personaggi cui dà forma e voce.» ▪️ «E poi saremo salvi» di Alessandra Carati (Mondadori), presentato da Andrea Vitali. «E poi saremo salvi non è solo la storia di Aida, profuga bosniaca che giunge in Italia appena in tempo per sfuggire agli orrori dei massacri. È anche quella di un padre a volte padrone e a volte bambino, di una madre che comprime il profondo e a tratti disperato amore per i figli al punto di dare talvolta l’impressione di essere assente. E infine è anche la storia di due schizofrenie entrambe vere: quella che ha lacerato i Balcani e l’altra, quella che affligge Ibro, il fratello di Aida, un crudo quadro di realtà che in alcuni passaggi diventa un commosso inno alle fragilità dell’essere umano. A ciò si aggiunge il pregio della scrittura di Alessandra Carati che non si concede al di più, non ha tempo da perdere. La storia che narra è una catena priva di anelli deboli o se si preferisce un rosario laico dove ciascun grano va tenuto tra le dita il tempo necessario per meditare ciò che gli spazi bianchi lasciano intendere. Il lettore goloso di novità vi trova di che soddisfare il suo appetito, il neofita potrebbe usare E saremo salvi come viatico per entrare con stupore nel mondo in cui una penna riesce a raccontare il bello e il brutto della vita, i ricatti dei sentimenti, la necessità dell’egoismo quando si sta per affogare. Anche la pace di chi riesce a salvarsi pagando il debito di scelte inevitabili destinate a diventare cicatrice dell’anima. Difficile staccarsi dalle pagine di questo romanzo fino alla silenziosa nevicata che lo chiude, offrendo al lettore l’ennesima sorpresa.» ▪️ «Spatriati» di Mario Desiati (Einaudi editore), presentato da Alessandro Piperno.«Lasciatemi dire, anzitutto, che sono pochi gli scrittori italiani contemporanei che abbiano saputo imprimere al proprio itinerario letterario una coerenza così implacabile. Dai tempi lontani Desiati ha saputo restare fedele al suo mondo con un’ostinazione sorprendente. Ecco, a mio giudizio, Spatriati è il suo libro migliore, il fiore della maturità, quello in cui i temi, le atmosfere e lo stile raggiungono una sintonia incantevole. C’è qualcosa allo stesso tempo di magico e sinistro nel pezzo di Puglia dove nascono, vivono e soffrono i personaggi di Desiati quasi tutti provenienti dalla piccola borghesia rurale. Rivelano un’inquietudine fatta di slanci romantici e appetiti sessuali, da un amore complicato per la terra d’origine e un desiderio altrettanto complesso di fuggire verso metropoli violente e inospitali. La sua prosa è un crocevia di registri deliberatamente antitetici: lirismo e causticità, sentimentalismo e ferocia. Per ottenere questi effetti, Desiati mescola con mano sempre più salda forbitezza letteraria e inflessioni colloquiali, talvolta persino dialettali ma senza mai inciampare nel pittoresco. Occorre sottolineare che questo impasto linguistico consente a Desiati di scrivere scene di sesso straordinariamente plausibili, e per questo persuasive e mai ridicole. Chi sono gli spatriati? Mi verrebbe da dire che sono i “marinai scordati su un’isola” della famosa poesia di Baudelaire, quindi tutti noi.» ▪️ «Giuditta e il monsù» di Costanza DiQuattro (Baldini+Castoldi), presentato da Franco Di Mare. «Giuditta e il monsù è un romanzo corale e introspettivo che racconta di un amore impossibile in una Sicilia bruciata dal caldo e dalle passioni. Decadenza e futuro si incontrano e scontrano nella verità di un libro tenero e crudele al contempo. È una fotografia non troppo ingiallita di una certa nobiltà siciliana, ancorata a rigide tradizioni e dilaniata da scomode verità. È una storia dentro la storia in cui l’amore diventa un pretesto capace di raccontare l’ineluttabilità del destino. Con una scrittura che sembra aderire più ad una sceneggiatura da nouvelle vague francese, tra Truffaut e Bunuel, Costanza DiQuattro usa la penna come se fosse una macchina da presa che sfonda le quinte teatrali e arriva, attraverso una potentissima vis teatrale, a fare vivere al lettore ambienti, odori, emozioni e sentimenti attraverso un linguaggio unico e singolare. C’è tutto dentro la scrittura di DiQuattro; c’è la musicalità di un dialetto arabo e greco, francese e spagnolo fatto di accenti forti e di lunghe distese, di dialoghi serrati e intime riflessioni in cui poesia e prosa sembrano confondersi e cedersi il passo continuamente. C’è il cinema dei campi larghi dei fratelli Taviani e quello della folla perfettamente sincronizzata di Tornatore. C’è il teatro, tanto teatro, di quello popolare che unisce, in un’unica campata, Scarpetta e Pirandello. Un continuo susseguirsi di colpi di scena che la sapiente “drammaturgia” del romanzo rivela pagina dopo pagina fino a un finale inaspettato ed epico, degno di un epilogo da tragedia greca.» ▪️ «Lingua madre» di Maddalena Fingerle (Italo Svevo Edizioni), presentato da Raffaele Manica.«Desidero candidare all’edizione 2022 del Premio Strega Lingua madre di Maddalena Fingerle (Italo Svevo), riflessione sulla forza della lingua e romanzo di grande energia. La vicenda parte dalla città di nascita dell’autrice, una Bolzano odiata per la retorica del bilinguismo, per diventare figura dell’abbandono di una lingua, l’italiano, nella ricerca di un’altra lingua, incontaminata. Il senso di questa ricerca sembra avverarsi quando il protagonista, Paolo Prescher, arriva in una Berlino che, in una biblioteca, apre all’incontro con Mira, colei che sembra finalmente capace di “pulire le parole”. Già premiato quando ancora inedito (Premio Calvino 2020), Lingua madre è poi stato variamente premiato come esordio di grande rilievo (Premio Flaiano Under 35; Premio Comisso Under 35; Premio Fondazione Megamar), incontrando una notevole attenzione di critica e un significativo riscontro di pubblico.Merita di essere presentato col rilievo che merita agli Amici della domenica.» ▪️ «Il nostro meglio» di Alessio Forgione (La nave di Teseo), presentato da Wanda Marasco. «Il nostro meglio è un romanzo ipnotico. La scrittura di Alessio Forgione, con la forza della verità e della poesia, inchioda a una dolorosa realtà in atto. La storia si svolge a Napoli, fra le periferie di Soccavo e Bagnoli e il centro della città. Il giovane Amoresano, spinto dal sentimento della perdita, compie una ricerca di senso attraversando vuoti e fratture dei luoghi e del tempo. Il motore di questo cammino è una notizia giunta come un fulmine: la nonna che lo ha cresciuto ha un tumore, le resta poco da vivere. Il dramma genera la cognizione del dolore e l’attesa della morte annunciata, divarica nello iato fra passato e presente la vita di Amoresano. Da questo momento la successione dei giorni si presenta con il rigurgito delle domande senza risposta. Il cammino si fa più errabondo, la memoria dell’infanzia è un mondo parallelo, definitivamente separato dal presente anestetizzato e nebbioso. Ogni passo corrisponde a uno strato della mente e del cuore in cui penetrano gli incontri con gli amici e gli amori. Il dolore e l’impotenza si nominano in un’atmosfera limbale come drammi della separazione, della incomunicabilità e degli sfioramenti impauriti. Ma Alessio Forgione ha scritto anche un romanzo di incomparabile dolcezza, rivoluzionario, fondendo la lezione del neorealismo e la suggestione del flusso di coscienza. Leggendolo si viene conquistati da una lingua-partitura, capace di mimare il battito percussivo della realtà e l’onda dei moti interiori.» ▪️ «Atti di un mancato addio» di Giorgio Ghiotti (Hacca), presentato da Sandra Petrignani. «Giorgio Ghiotti è giovane (27 anni) e ha scritto un romanzo sulla giovinezza come fosse un’epoca lontanissima. Così costringe il lettore alla domanda: quando finisce una volta per tutte la gioventù? In Atti di un mancato addio(Hacca) la risposta sta forse in questa frase del protagonista: “Sento di non aver mancato l’appuntamento con la mia vita di prima”. Possiamo dunque dichiarare conclusa la prima parte della nostra vita, quando arriviamo a una conciliazione fra un prima giovane e un dopo adulto? Libro di grandi domande, come appunto nell’adolescenza, e di sensazioni epidermiche, questi Atti riescono nella magia di rendere vera una storia inventata non limitandosi a raccontarla, ma trasformandola in un’esperienza personale, viva, comune anche a chi legge. C’è un gruppo di ragazzi e ragazze. A un certo punto uno di loro, Giulio, sparisce senza lasciare indicazioni. Comincia la ricerca che non porterà a niente se non ad alcune apparizioni fantasmatiche e a fare i conti con sé stessi. Ghiotti, dal notevole poeta che è, procede per intuizioni, memorie, illuminazioni. Usa la seconda persona, tu, dice io, dice noi. Gioca col passato e il presente, mette lo zaino sulle spalle dei suoi personaggi e li lancia in un viaggio che si rivela una corsa sul posto, un girare intorno alla ricerca di un senso della vita che non c’è, se non nel fatto incontestabile di essere esistiti davvero, e di riuscire a esistere sul serio ogni giorno. Una volta Valerio Magrelli, presentando in libreria una raccolta di racconti di questo scrittore, parlò della sua appartenenza a “un’unica sorprendente famiglia stilistica” alludendo all’eco nella sua voce di narratori italiani di difficile classificazione, e soprattutto narratrici, irregolari eppure classici, da Ortese a Ginzburg, da Lalla Romano a Fleur Jaeggy. Sicuramente, e per fortuna, Ghiotti non somiglia a certi autori più recenti che scambiano la giovinezza, e il tentativo di rappresentarla letterariamente, per un’età cruda dal linguaggio barbaro e sgrammaticato, dall’afasico e violento modo di conquistarsi il proprio posto nel mondo per rimanerne in genere schiacciati e sconfitti. Giorgio racconta senza estremismi, nella consapevolezza che la realtà è molto più sfaccettata e complessa.» ▪️ «Quando le belve arriveranno» di Alfredo Palomba (Wojtek), presentato da Riccardo Cavallero. «È per me un piacere presentare il romanzo Quando le belve arriveranno di Alfredo Palomba, Wojtek. Dopo Teorie della comprensione profonda delle cose, il nuovo romanzo di Alfredo Palomba conferma ed esalta le doti narrative di un autore che non teme sfide coraggiose di costruzione del pensiero, dell’intreccio, di scelta dello sguardo sulla realtà. Un giovane uomo totalmente anaffettivo abbandona nonna e madre alcolizzata per andarsene a insegnare come professore di sostegno nella scuola di un piccolo, tristissimo paese di provincia. L’allievo che ha in carico è un bambino cinese microcefalo col quale instaura un rapporto di minima comprensione e umanità: l’unico, mentre tutti quelli che lo circondano (i colleghi, la proprietaria di casa, il bidello, i negozianti) rivelano poco a poco tratti, appetiti, voracità di belve. E di belve ammalate, infettate senza scampo. Attorno al fiume che scorre nel paese si consumerà l’orrore finale. Perché in questo libro dalla stupefacente compattezza narrativa, capace di spietata lucidità nel raccontare la dolorosa mancanza di empatia cui ci siamo ridotti, in cui la tensione della parola è abilmente mascherata dall’ordinario resoconto di giorni senza gloria, la salvezza è nel coraggio dell’orrore.» ▪️ «La foglia di fico. Storia di alberi, donne, uomini» di Antonio Pascale (Einaudi), presentato Francesco Piccolo. «Candido La foglia di fico di Antonio Pascale (Einaudi) perché è un libro miracoloso per la capacità di alzare lo sguardo e sciogliere la conoscenza di alberi e piante in un (auto)ritratto dell’esistenza, in una tensione narrativa commovente e comica, in una forma originalissima, e con personaggi impossibili da dimenticare: la complessità inafferrabile della ragazza spinosa, con cui non avremo mai il coraggio di fuggire perché le radici sono più forti di tutto; o la figura del padre, al quale si riconosce la capacità di offrire tutta la sua saggezza, non solo botanica, e quindi tutti i mezzi che questo libro utilizza per comprendere il mondo. La foglia di fico non è una storia sentimentale ma possiede invece, e restituisce, il sentimento per la fragilità degli esseri umani nello strazio del tempo che passa. Pascale accoglie questo tempo, lo rielabora con sapienza e umanità, tra terra e cielo, e alla fine ci si è dimenticati di aver avuto a che fare con un libro, ma si è certi di aver avuto a che fare direttamente con la vita.» ▪️ «La parte di Malvasia» di Gilda Policastro (La nave di Teseo), presentato da Romana Petri. «Gilda Policastro è al suo quarto romanzo e in quest’ultima prova mette a segno un colpo da narratrice di razza: fingere di voler avviare un’indagine su una donna morta e inscenare un teatro di voci che coralmente raccontano più vite, in coerenza con il riferimento del titolo al vitigno. Una morte e tante vite, perché “il morto non è un morto ma la morte”: quasi mai un accadimento eccezionale, come in un delitto, ma un momento atteso e fatale, specie nella sua imminenza dopo una diagnosi. Questo La parte di Malvasia lo racconta anche intessendo il narrato di citazioni e riferimenti colti (dal Gadda della Cognizione del dolore al Beckett del Krapp’s Last Tape), ma non è in questo la sua potenza. Piuttosto, nell’oscillazione della coscienza (di cui la pagina restituisce il flusso) dalla lucida consapevolezza della fragilità al buio in cui la precipitano i vuoti di senso come la malattia. Il tema, già caro all’autrice nell’esordio del Farmaco, viene qui affrontato con una nuova, più dolente umanità: nel rapporto tra Malvasia e sua madre morente si ritrovano i contrasti (“il confine esteriore dei vestiti e quello introiettato dei divieti”) e peggio ancora i non detti della più stretta tra le maglie della vita sociale, la famiglia, luogo parossistico e ossimorico di dolore e di cura. Una delle più belle pagine del libro è dedicata alla ricostruzione pseudoetimologica del verbo dialettale cuttuniare: proteggere, allestire una cuccia, ma anche costringere, trattenere, soffocare. La parte di Malvasia è un libro da leggere non tutto d’un fiato, come si dice spesso dei romanzi, ma a voce alta: per apprezzarne il ritmo, i nutrienti della scrittura, dalle percezioni minute alle pseudo-sentenze (“Madre è la specie dell’insoddisfazione”). Gilda Policastro non ha l’aspirazione del giallista, non vuole mettere tutto in ordine e arrivare a un esito: anzi, all’opposto, incaricando ambiziosamente di accostarsi a un tema irriferibile come la morte di una persona cara, disordina la trama in pezzi come in un quadro cubista e la ricompone come fa la vita, senza troppa coerenza e prevedibilità. Alla fine, quello in cui riesce Malvasia è rivivere, dopo la morte, senza concedere alibi a nessuno: a chi legge, e tantomeno a chi scrive.» ▪️ «È tardi!» di Eduardo Savarese (Wojtek), presentato da Elisabetta Rasy. «Il libro È tardi (Wojtek) di Eduardo Savarese è un’opera davvero speciale: è insieme un ritratto da vicino di sette eroine della lirica (Traviata, Carmen e altre anche attraverso l’evocazione di celebri interpreti), una storia famigliare che si spinge fino alla seconda guerra mondiale, e soprattutto un romanzo di formazione in cui l’autore racconta la difficile scoperta e poi accettazione, anche grazie alla musica, della propria omosessualità. È un libro scritto con una prosa viva e colloquiale ma straordinariamente limpida, che ci narra in modo semplice ma incisivo come l’arte e la vita possano essere felicemente intrecciate. Per queste ragioni lo presento con entusiasmo al Premio Strega.
fonte https://www.premiostrega.it/?fbclid=IwAR2eZRa55Nx24BqruAdT8G3KJNxA9lIbhHqx-zxIkAnkJG44SHPvRQQDUgw
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