“La vergogna di possedere un corpo è arrivata un pomeriggio di primavera. Si è infiltrata dentro un raggio di sole, ha attraversato la maglietta ed è arrivata a colpire un punto in mezzo al petto, saldandosi per sempre al tessuto della pelle”, è questo il potentissimo incipit di “Il corpo della femmina” (Fandango) di Veronica Pacini, tanto simile al vissuto di molte di noi, quando, ragazzine, abbiamo scoperto di possedere un corpo (che in realtà ci possiede) e una relativa sensualità che va a braccetto con la sessualità. E’ ciò che avviene alla protagonista del romanzo che procede in un percorso cronologico di crescita e scoperte quasi tutte portatrici di un dolore sordo di cui vergognarsi. E’ sul suo corpo che la sorella maggiore si sfoga con rabbia per punirla di essere nata, è sul suo viso che si posano labbra incerte di un bimbo di sei anni che la sceglie come “fidanzata”. E’ ancora sulle sue carni giovani e inesperte che si posano occhi lascivi e mani che cercano piacere, ma è dal suo corpo che proverà, a 13 anni, il primo intenso piacere che le cambia il modo di guardarsi allo specchio e la spinge a cercare nuovi e più intensi piaceri. Poi una forte crisi esistenziale, il desiderio di nascondere un comportamento che considera forse troppo “peccaminoso” e la crisi mistica che la spinge a nascondersi, a fare strani rituali di purificazione, che la porta ad una insolita raccolta di santini per trasformarsi in una sacerdotessa del piacere mancato, il tutto scaturito da quella iniziale vergogna di riconoscersi in un corpo. Una lettura che è stata scoperta pagina dopo pagina e chissà in quante ci siamo riconosciute nei tormenti della giovane protagonista.
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