Ricordo le parole di ringraziamento di Laura Samani, classe 1989, all’ultima edizione dei David di Donatello, quando ha ritirato dalle mani dei fratelli D’Innocenzo la statuetta per la categoria Miglior Regista Esordiente: “Confesso che sono molto superstiziosa quindi non ho preparato un discorso e me ne pento amaramente in questo momento. Ma in grande sintesi,voglio dire Grazie a chi ha detto di sì in questi anni, innanzitutto ad Elisa Dondi e Marco Borromei che sono la cosceneggiatrice ed cosceneggiatore, a Nadia Trevisan e Alberto Fasulo, i produttori italiani di Nefertiti Film, ed alla mia famiglia che mi permette di esplorare il mondo e me stessa con le mie forze ed il mio desiderio. Grazie a tutte le collaboratrici ed i collaboratori perché io sono qui a nome di centinaia di persone che hanno partecipato al film. Sono stati cinque anni lunghissimi direi, però significativi. Voglio dedicare il premio a Thomas Rupil che è una persona che ha partecipato al film, ma che purtroppo non c’è più e che in un momento in cui avevo molta paura mi ha ricordato che come dice Marie Curie “non bisogna avere paura, bisogna solo capire le cose”.
Il giorno successivo avevo la lezione del Pon AnimeC nella mia scuola, un pon dedicato al cinema e finalizzato alla realizzazione di un cortometraggio. Ho iniziato la lezione con le parole di Laura Samani soffermandomi sul ringraziamento alla sua famiglia che si è fidata di lei, che ha assecondato le sue aspirazioni supportando il suo talento per un’arte tanto complessa quanto straordinaria come il cinema. Un esempio di coraggio e determinazione, un esempio per le nostre giovani generazioni.
Ieri pomeriggio ho visto il film disponibile su Sky Q, avevo bisogno di vedere un film che sapevo avrebbe lasciato poco spazio alla distrazione. Ho scelto un film che mi richiedesse particolare attenzione e concentrazione. Ed è quello che è successo.
Il film racconta la storia del viaggio lungo e travagliato di Agata che ha con sé, in una scatola di legno, il Piccolo Corpo. Ambientata in Friuli Venezia Giulia nella prima metà del secolo scorso, Agata vive su un’isola di pescatori, lo è anche suo marito, aspettano un figlio. Il rito pagano di benedizione officiato dalla donna più anziana della comunità, vede Agata coperta da un telo bianco con lo sguardo rivolto verso il mare. A poco servirà il taglio infertole sulla mano sinistra che avrebbe dovuto scacciare il male per far posto solo al bene; la piccola nasce ma non respira. Il viaggio di Agata inizierà alla volta di una chiesa nella Val Dolais dove, le è stato detto, esserci una chiesa nella quale le creature senza vita tornano a respirare solo un attimo, quell’alito di vita che permette loro di essere battezzate, di poter dare loro un nome da scrivere sulla lapide dopo aver ricevuto l’estrema unzione. Ad Agata il parroco dell’isola aveva negato il rito funebre perché la bimba era nata morta, suo marito aveva provveduto a seppellirla nel bosco, ma lei non si rassegna al fatto che sua figlia dovesse passare nel Limbo l’eternità, non si rassegna all’idea di non poterla rivedere nell’aldilà. Essere giovane e poter mettere al mondo altri figli non sono sufficienti consolazioni, Agata è madre di una figlia nata morta che deve proteggere dalla solitudine eterna. Agata è una Madre. Decide dunque, di partire da sola, pur avendo chiesto al marito di accompagnarla alla ricerca di quella chiesa, unica speranza di strappare la piccola ad un destino ancora più infausto. Una notte fredda e piovosa si reca nel bosco, disseppelisce il Piccolo Corpo, lo depone in una cassetta di legno, se la lega stretta in grembo e affronta il lungo viaggio. L’incontro con Lince, personaggio molto singolare, sarà foriero di pericoli, insidie, ma anche di effettivo compimento. I dialoghi brevi ed asciutti in dialetto friulano necessitano che la pellicola sia sottotitolata. L’essenzialità dei dialoghi rende agevole la lettura dei sottotitoli senza perdere la preziosità delle immagini. La regista in parecchie scene di sequenze in movimento sembra aver prediletto la videocamera a spalla, offrendo così al pubblico un approccio più veritiero. La fotografia ritrae paesaggi ruvidi, autentici passando dalla spiaggia e dal mare corallino alle montagne sulle quali soffiano piccolissimi fiocchi di neve. Tante sono le scene prive di parole, lunghi silenzi, lo strepitio delle foglie secche, passi che affondano nella neve, occhi neri intensi dominati da folte sopracciglia, occhi azzurri tristi che nascondono una scomoda identità. Piccolo Corpo è un film per coloro che amano il cinema impegnato. Non è un film semplice, è caratterizzato da un ritmo lento, una scelta necessaria per un film così intimamente introspettivo, un film che sotto una chiave diversa ed originale racconta la maternità. Non conoscevo né Celeste Cescutti, l’interprete di Agata, non ho riconsciuto Ondina Quadri, nel ruolo di Lince che avevo già visto in Capri Revolution. Ritengo che il panorama attoriale femminile sia molto più ampio di quello di cui abbiamo effettiva contezza. Tra i tanti pregi del cinema indipendente oltre al coraggio di investire e quindi credere in progetti particolari come questo, è senz’altro quello di farci conoscere attrici ed attori di talento.
Piccolo Corpo è un Grande Film.
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