“ - Come hai iniziato a lavorare nel mondo del cinema? Sono stata…scoperta”
Quando Marylin risponde alla domanda di Joe Di Maggio, la sua mente scova il ricordo dell’incontro nell’ufficio di un produttore; le lacrime perennemente presenti in quegli occhi tanto profondi quanto tristi, mentre soccombe alla violenza. Otterrà il provino, inizierà a recitare in quei ruoli da bionda fatale a cui nessun uomo poteva resistere, in film che l’hanno resa diva, tanto osannata, eppure costantemente tormentata. Tratto dal romanzo di Joyce Carol Oates, successo editoriale negli anni 2000, Blonde è un biotopic diretto dal regista e sceneggiatore Andrew Dominik. Con un stile molto particolare che si evince sin dalla prima immagine, Dominik non racconta Marylin ma il dramma esistenziale di Norma Jeane Mortenson Baker. Il lungometraggio per circa tre ore ha il potere di non consentire alcuna distrazione e di destabilizzare anche coloro che hanno considerato Merylin una bionda oca giuliva. Dominik porta sullo schermo l’anima della donna fragile, falsamente amata e costantemente ferita. Il regista sottolinea i momenti di luce a quelli di buio della vita di Marylin, alternando pochi fotogrammi a colori ad una prevalenza di scene in bianco e nero. Una cura maniacale dei costumi si denota dagli abiti iconici che Ana De Armas indossa e magicamente è lei la diva hollywoodiana più desiderata d’America. Il maglioncino nero nei pantaloni occhio di pernice a sigaretta con la vita alta, l’abbondante cardigan di lana che indossa quando gioca sulla spiaggia con il secondo marito Arthur Miller, il vestito a fiori che come tutti gli altri abiti le fascia il vitino da vespa, l’abito bianco ed il vistoso girocollo di brillanti indossato per la prima de Gli uomini preferiscono le bionde. La straordinaria scelta di manipolare alcune scene originali di film, La tua bocca brucia, Niagara, Come sposare un milionario, Quando la moglie è in vacanza, Gli uomini preferiscono le bionde, facendo recitare Ana De Armas. Un encomiabile lavoro di manipolazione e montaggio, non stupisce affatto che ci si chieda se si tratti di immagini di repertorio, per poi capire, grazie all’osservazione con occhio attento che non si tratta della vera Marylin. Non credo sia presto per prevedere una candidatura come Miglior Attrice Protagonista agli Oscar. Laddove dovesse accadere, non avrò dubbi: tiferò per lei. Così come merita una menzione speciale chi ha curato il doppiaggio per l’Italia, quella voce inizialmente irritante si trasforma in un suono gentile, disincantato, fragile, indifeso al quale inevitabilmente ci si affeziona. Bellissima, di una bellezza insuperabile sicuramente aiutata dalla chioma biondo platino e dal trucco sempre curato, Marylin si vede nei film e non si riconosce, consapevole forse, dei ruoli di poco spessore che sovente le venivano affidati, sempre accolta da orde di uomini dalle espressioni libidinose. Nessuno ne ammirava il talento, nessuno le riconosceva alcun talento se non la fisicità, il seno procace e gli sguardi provocanti. Aveva contribuito, senza rendersene davvero conto, a diffondere il messaggio della donna oggetto, dell’oca giuliva, bella ma stupida. Il film è la narrazione della sua vita drammatica a partire dall’infanzia, la convivenza con una madre instabile, l’orfanotrofio, fino alle foto di copertina su Playboy. In un tailleur bianco mentre attraversa la sala di un ristorante dove raggiunge il manager che le ha procurato un colloquio con un produttore, la camera da presa indugia sul suo fondoschiena, che di lì a poco sarà profanato. Sperimenta la gioia e la protezione nel triangolo amoroso con Cass Chaplin ed Edward J. Robinson Junior incontrati al Circolo degli attori di Los Angeles nel 1952. Si scontra con il dolore a causa dei suoi matrimoni con Joe Di Maggio e Arthur Miller, con l’umiliazione durante la relazione con J.F. Kennedy. Gli uomini impazzivano per lei, senza amarla, come dimostrano le ovazioni alle prime dei suoi film a cui partecipa ostentando un falso sorriso, l’accoglienza che le riservavano folle oceaniche di ammiratori davano la sensazione che si prova quando si riceve un regalo prima di scartarlo, l’effimero. Ci sono mille motivi per i quali Blonde merita di essere visto. Innanzitutto la regia molto singolare: i movimenti di camera ed i numerosi primi piani, i dettagli del suo volto, riescono a creare un legame tra il pubblico e la protagonista, si è colti dall’istinto di strapparla dalle mani rabbiose della madre, di abbracciarla ogni volta che piange, di prendersi cura di lei durante le crisi isteriche che spesso si verificavano sul set, di accarezzarle i capelli e sistemarle le ciocche ribelli, di proteggerla potandola via da quel bruttissimo angolo di mondo. Per gli abiti iconici, sono certa di non essere l’unica ad aver rivisto nel film le immagini ritratte da foto dell’epoca. Per le espressioni di tristezza spesso immortalate dai fotografi, come dimenticare la foto in primo piano rubata da un fotografo che riesce a scattarle una foto all’uscita dall’ultimo ricovero. Era stravolta, il viso provato eppure sempre bellissima. Per il racconto del triangolo amoroso con i figli d’arte Chaplin e Robinson Junior, a me totalmente sconosciuto. Per l’abbraccio e il pianto disperato sul ventre della madre, quando va a farle visita nell’ospedale psichiatrico. Per l’intensità che trasmette durante il provino per il ruolo di Nel. Per tutte le volte che desidera ed immagina di essere incinta, in realtà prova a partorire se stessa. Per la tenerezza che la avvolge ad ogni lettera ricevuta da un fantomatico padre. Per l’esplicito riferimento al complotto come causa della morte. Per la pessimo ritratto del Presidente Kennedy. Per la scena finale, l’abbraccio al cuscino che rievoca una delle immagini più iconiche di Marylin. Perché il cast è eccellente, ma il film si regge tutto sul talento della protagonista. Perché è un film bellissimo, tra i più belli che abbia visto. Avrebbe meritato la sala.
Il film è disponibile su Netflix.
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