Grazie a Francesca Archibugi per il modo in cui ha saputo raccontare con il linguaggio filmico la storia complessa e delicata di Marco Carrera, il Colibrì. La Archibugi ha potuto contare sulla collaborazione di Francesco Piccolo e Laura Paolucci, oltre a quella dell’ autore del romanzo, Sandro Veronesi. La riuscita del film è dovuta anche ad un cast di eccezione perché il film è corale; l’indiscussa pregevole interpretazione di Favino è ben accompagnata dalle prove attoriali di Laura Morante, Kasia Smutniak, Sergio Albelli, Fotini Peluso (che abbiamo avuto modo di ammirare nel ruolo di Nina nella serie Tutto chiede Salvezza), Benedetta Porcaroli, per citarne alcune ed alcuni. Un film corale, dunque, e lo squillo di un cellulare poggiato sul bracciolo di un divano rappresenta una scena ricorrente, magari perché segna il cambiamento. Dopo quella telefonata Marco Carrera si sposta da una pacata immobilità, da quell’atteggiamento sempre poco intraprendente tipico di chi si lascia attraversare dalla vita piuttosto che viverla, e comincia a manifestare una resilienza reagita. Dopo quell’evento Marco Carrera diventa protagonista della sua vita, sceglie sebbene non per se stesso ma per un amore più grande. La bravura della regista va rintracciata nella capacità di aver individuato nel romanzo di Veronesi i fatti salienti nella vita del protagonista, ed averli rappresentanti con delicata leggerezza malgrado la loro tragicità. Ancora una volta il cinema italiano si fa apprezzare per la scenografia, i costumi ed il trucco. Così come il romanzo, la Archibugi racconta la vita di Marco per capitoli temporali senza seguire una successione cronologica, ed è proprio in quei salti di ambientazione in periodi diversi che un pubblico attento riesce a cogliere il lavoro certosino delle maestranze. Meravigliosa Kasia Smuntiak e la sua instabilità evidente già dalle prime scene dalla sua acconciatura. Così come è pieno di tenerezza l’abbraccio con cui Marco prova a calmare la moglie dopo una litigata furente, durante la quale lei lo accusa di non essersi mai accorto di niente. La riproduzione dei plastici di Probo Carrera riporta alle descrizioni di Veronesi, quei capolavori realizzati con maniacale precisione è funzionale nel film relativamente ad ambienti e personaggi. È bellissima Laura Morante quando cammina in un tardo pomeriggio nebbioso con un collega, cameo di Sandro Veronesi. Irene che, in una calda notte di luna piena, si avvia verso il mare mi ha ricordato la scena in cui in The Hours, Nicole Kidman nei panni di Virginia Woolf guadagna le acque di un lago. La piscina dove Adele, assistita dal padre partorisce colei che sarà la Donna del Futuro, è molto simbolica ed altrettanto suggestiva. E quel grazie pronunciato da Marco all’infermiere suscita commozione. Anche Nanni Moretti con il tono monocorde di una voce gracchiante, tutto sommato, rispecchia le caratteristiche dello psicanalista descritte dall’autore del romanzo. Non posso dire altrettanto di Luisa che ho trovato più credibile da adolescente ma piuttosto insulsa da adulta. Il film, com’è noto, ha diviso molto pubblico e critica passando da chi lo definisce un film mediocre a chi ne esalta la bellezza. Come sovente dico, parafrasando qualcuno, “parlare di me, in bene o in male, purché se ne parli”; ecco, quando questo accade il film è riuscito nel suo intento. Io appartengo alla seconda categoria, a quella parte di pubblico che quando è uscita dalla sala ha pensato di aver speso benissimo due ore del proprio tempo.
|