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sab 03-12-2022 n.14001, Maria Pia Ciani

Bones and All (Fino all’osso), l’ultimo film di Luca Guadagnino

Il commento di Maria Pia Ciani


“Avevi tre anni…era la tua baby sitter. Avevi qualcosa sulla guancia… una fortuna che non avesse gli orecchini, avresti rischiato di soffocare”
“Sono andato via, non mi rivedrai mai più!”
“Sì, proviamo a fare i normali…solo per un po’…”
Nelle sale dal 24 novembre, Bones and All (Fino all’osso) è l’ultimo film di Luca Guadagnino. Tratto dall’omonimo romanzo di Camile De Angelis, un passo del romanzo descrive la protagonista: MAREN YEARLY È UNA GIOVANE donna che desidera ciò che desiderano tutti: vorrebbe essere ammirata e rispettata. Vorrebbe essere amata. Ma Maren ha anche delle esigenze particolari e segrete, che l'hanno costretta a una specie di esilio dal genere umano”.
Presentato alla 79° Mostra Internazionale di arte cinematografica di Venezia, il film è stato ben accolto con un lungo applauso, un applauso convinto e consapevole delle differenti reazioni che la pellicola scatenerà nel pubblico. Un film destinato a fare rumore. Un film coraggioso. Luca Guadagnino vince il premio per la Miglior Regia, e noi che questo pomeriggio in una sala semideserta lo abbiamo visto, abbiamo capito e condiviso le ragioni. Bones and All è un bellissimo film.
Il percorso on the road nell’America degli anni ’80 è caratterizzato da paesaggi suggestivi e solitari, cieli azzurri venati di rosa e rosso, deserti sconfinati illuminati dalla luce del tramonto, lunghe strade asfaltate che attraversano il nulla.
E’, al di là delle apparenze, una tenerissima storia d’amore tra due adolescenti destinati, altrimenti, alla solitudine provocata dalla loro natura, dai loro istinti.
Le musiche delicate, che fanno da sottofondo a scene cruente, confermano lo stile e l’eleganza che caratterizza la regia raffinata di Guadagnino.
I primissimi piani di Timothée Chamalet e Taylor Russel sono potenti.
Denso di colpi di scena, la trama si infittisce quando le storie personali e familiari di Maren e Lee, custodite come inconfessabili segreti, vengono scoperti e raccontati provocando rabbia, paura e un  pianto liberatorio.
Il loro viaggio attraverso gli stati americani sarà anche un viaggio intimo, profondamente introspettivo verso la consapevolezza che ciò che si è, e la certezza che provocherà dolore e morte.
Ma l’amore può essere salvifico o quanto meno dare l’illusione che si possa vivere come persone “normali…anche solo per un po’”.
Inevitabilmente il pensiero va per associazione di idee ad Hannibal Lecter, ma ancor di più Jean-Baptiste Grenouille, protagonista de Il Profumo di P. Suskind, perché lasciarsi mangiare dall’amore diventa il modo più sensato di morire per coloro che sono condannati alla solitudine di un istinto innaturale.
Conoscevamo le doti attoriali di Chamalet scoperto dallo stesso Guadagnino nel capolavoro “Chiamami col tuo nome”, una piacevole scoperta è stata Taylor Russel nel ruolo di Maren, la figlia mulatta di una coppia mista, presumo sia voluto che abbia ereditato il cannibalismo dalla madre bianca piuttosto che dal padre nero.
Il cannibalismo è solo un aspetto del film, credo sia la chiave di lettura di una storia molto più articolata e complessa, una metafora di una società che, come sostiene Elide Apice, mette ai margini i diversi, quelli considerati strani, i mostri. Le scene cruente sono sopportabili, il film merita di essere visto per potersi perdere nella sublime scena finale.


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