L’uomo sulla strada, nelle sale dal 7 dicembre, è il secondo lungometraggio di Gianluca Mangiasciutti. Dopo averla voluta come protagonista nel cortometraggio A Girl Like You, assegna ad Aurora Giovinazzo il ruolo di Irene, una diciottenne che ha problemi nella gestione della rabbia. Lorenzo Richelmy è Michele, un giovane ingegnere alla guida della fabbrica ereditata da suo padre. Sposato con Laura, non hanno figli, hanno una bellissima casa dalle vetrate ampie, l’arredamento è minimalista e raffinato, le pareti bianche, i tessuti dei divani grigi. E’ perfetta, ricercata ma anonima. In quella casa potrebbe abitarci chiunque.
Il cielo lattiginoso compare sin dalla prima scena, in un bosco autunnale e silenzioso, una bambina va alla ricerca di funghi con il suo papà. La piccola con gli stivali da pioggia giallo sole ricorda tanto la bimba di una vecchia pubblicità della Barilla che rientrava da scuola da sola sotto la pioggia. La bambina è Irene, ha otto anni, chiama il suo papà, sente il rumore del motore di un’auto, intravede qualcuno all’interno dell’abitacolo prima che l’auto riparta velocemente. I funghi sono sparsi lungo la strada asfaltata, il cestino volato via, il suo papà nel burrone.
Dieci anni più tardi Irene si ritrova a fare i conti con le conseguenze di quel trauma, un quaderno ed una matita le servono per ritrarre i volti alla ricerca di quello che ha investito suo padre e che non è riuscita a descrivere alla polizia, non riusciva a ricordarlo.
Le vite degli altri vanno avanti, anche quella di sua madre, ma lei è ferma lì, sull’asfalto di quel tornante con lo sguardo fisso verso il burrone.
Irene è arrabbiata, gli occhi grandi e profondi sono sempre tristi, gli angoli della sua bocca non si sollevano mai, il dolore per la morte del padre l’ha segnata ma ancor di più non perdona a sé stessa di non essere stata in grado di ricordare il pirata della strada.
Costantemente irritata e decisamente irritabile, la qualità delle relazioni di Irene è piuttosto compromessa. In acqua si sente bene, vive l’assenza dell’angoscia, il senso di colpa le da tregua. Irene è un’abile nuotatrice ma tutto si complica quando il nuoto diventa agonistico e lei regge poco la pressione.
Quando tutto sembra andare più storto del previsto, la solitudine amplifica la rabbia, cambiare aria sembra l’unica soluzione anche se questo significa abbandonare la scuola, trovare un lavoro.
Un incontro fortuito la porta fino alla fabbrica di Michele, dove trova lavoro come operaia ed inizia la sua storia. Un percorso accidentato, fatto di incontri sbagliati, scontri violenti, confronti difficili, ma anche di profonda tenerezza.
Aurora Giovinazzo, che personalmente ho apprezzato moltissimo in Freaks Out per cui ha ricevuto anche la candidatura come Miglior Attrice all’ultima edizione dei David di Donatello, recita con tutte le parti del corpo; con le spalle, coperte da una felpa rossa, si riescono ad ammirare in un lungo piano sequenza, con i capelli lunghi e voluminosi che assecondano ogni suo movimento, con gli occhi magnetici capaci di attraversare lo schermo per incrociare quelli del pubblico.
E’ bella l’ambientazione, il clima rigido della montagna d’inverno, è essenziale ma suggestiva.
Intensa anche l’interpretazione di Lorenzo Richelmy, abbandona la sicurezza spavalda de Il Talento del Calabrone, per assumere un atteggiamento schivo e riservato, che nasconde un segreto. Non sarà difficile intuirlo. Il film, infatti, non si concentra sulla ricerca dell’identità del pirata della strada che è evidente sin dalle prime scene, la bellezza del film è l’evoluzione dei sentimenti, del senso di colpa, della rabbia, dell’espiazione, della responsabilità, del perdono.
La scena finale vale tutto il film, parte da primi piani che diventano primissimi piani per chiudersi con un dettaglio.
Le musiche originali di Alessandro Bencini sono un notevole valore aggiunto.
Anche questo film dimostra che il cinema italiano gode di ottima salute.
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