“Aspettiamo… Aspettiamo le visite. Aspettiamo che faccia giorno. Aspettiamo la notte E poi il pranzo La cena Aspettiamo…” Un inizio tra lo scoppiettante e l’imbarazzante; il doppiaggio viene richiesto in tutti i film, proprio tutti. Antonio Cerami, interpretato da un sempre magistrale Antonio Albanese, accetta inizialmente suo malgrado, di insegnare teatro in carcere. Il corso ha poco successo, gli iscritti sono solo tre. Se ne aggiungerà un quarto, il quinto, un detenuto rumeno, con un colpo di genio si inventerà un ruolo. C’è diffidenza da parte di tutti; Antonio è piuttosto sfiduciato, i detenuti poco motivati, fatta eccezione per Aziz. Saranno le parole dei detenuti attraverso le quali descrivono la vita in carcere, una vita fatta di continue attese a far cambiare ad Antonio atteggiamento, a convincerlo che quell’esperienza è una reciproca opportunità. La parola attesa rinvia subito al Godot di Beckett. Quella solita passione per la recitazione, per la potenza del teatro farà compiere ad Antonio un miracolo, nonostante non manchino le crisi ed i momenti difficili. Quanto è bella la scena di Damiano al vogatore. Dolcissimo Aziz quando racconta come è arrivato in Italia ed il motivo della sua detenzione. È da ovazione il monologo di Antonio su quel palco per anni ambito ed il suo Grazie Ragazzi. Si ride tanto e spesso, ci si commuove sovente e restano impressi gli occhi dei cinque “attori” quando per la prima volta lasciano il carcere e sembrano inebriati dall’aria e dalla luce del sole. La luce del sole forte a cui provano ad abituarsi. Bello il ruolo di Fabrizio Bentivoglio che si riscatta soprattutto nel finale. Bravissima Sonia Bergamasco, la Direttrice del carcere che perora la causa a favore dei detenuti attori perché da quando frequentavano il corso di teatro “li ha visti felici”. Il teatro ha fatto loro respirare la libertà, forse troppo. Un film bello bello bello. Unica nota negativa, nella prima parte del film l’immagine è ballerina risultando parecchio fastidioso, sembra quasi girato con la cinepresa a spalla dando l’idea del documentario.
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