Non è facile parlare di femminicidio, facile,invece, cadere in una narrazione tossica, stereotipata perché tutto è già stato detto. Eppure Gea Martire, ieri al Mulino Pacifico con “Rumore di fondo”, è riuscita a portare in scena senza retorica il dramma della violenza di genere, a narrare un climax potente, partendo da un diverso punto di vista. I piedi, infatti, al centro della drammaturgia di Benedetta Palmieri che Nadia Baldi restituisce con una regia puntuale e attenta. Piedi che vogliono danzare, quelli di Carmine Ammirati, orfano di femminicidio cui è ispirata la narrazione. Piedi che sono leggeri quando arrivano all’altare chiusi in scarpe strette che portano dolore, un dolore che ben presto sarà dimenticato dall’abbraccio con altri piedi, già più pesanti e incapaci di ballare. Poi tutto cambia e non si conosce l’origine del cambiamento, all’improvviso quei piedi diventano pesanti e a loro verrà imposto di stare a casa, di indossare solo ciabatte, di non ballare. I piedi come metafora della vita di una donna, di tutte le donne, che devono essere ben saldi a terra per il quotidiano, ma devono essere anche capaci di leggerezza per poter spiccare il volo. Splendida Gea Martire nel cambio di registro, nel passare dall’ immensità della recitazione femminile alle parole grevi e crude di “lui”, intensa nell’arricchire il testo di pause essenziali a superare la retorica con quell’uscita di scena che spiazza, quel dire che “non sa più dire”. Poi il ritorno in una scena scarna, al centro dei gradini scuri che sono altare, letto, bara, intorno gli strumenti musicali di Ivo Parlati, nell’aria la splendida voce di Antonella Ippolito a fare da cornice al racconto di un femminicidio avvenuto dopo dodici denunce e diventato così “omicidio di Stato”. Immensa la capacità di Gea Martire di restituire al pubblico il senso di un dolore che si fa crescente e che trova il coraggio di un j’accuse alle donne. A quel figlio “nuovo” che ha potato in grembo e che in parte somiglia a suo padre, sua unica certezza di serenità, vuole ora donare da donna “nuova” insegnamenti che siano giusti per riuscire finalmente a spezzare il filo della violenza. Un monologo da brividi per l’intensità della drammaturgia e per la carica emotiva restituita da Gea Martire a un pubblico attento che ha seguito in religioso silenzio la messa in scena.
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