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gio 02-11-2023 n.14258, Maria Pia Ciani

“C’è ancora domani”, al cinema l'eccellente opera di Paola Cortellesi

La critica di Maria Pia Ciani


Tu pensa a porta' i soldi a casa e a dà 'na mano a 'st'incapace de tu' madre.
Ma se po' sape' perché questo al primo giorno pija più de me?!
Hai visto gli americani quanto so' belli, oh?! C'hanno tutti i denti! Ma tanti!

Spero il pubblico, e non solo italiano, celebri andando al cinema l’opera prima di Paola Cortellesi.
Interprete di rilievo nel nostro panorama cinematografico, attrice versatile, non si limita ad interpretare ma diventa il personaggio. Nella sua lunga carriera ha sperimentato vari generi cinematografici, dimostrando doti attoriali oggettivamente apprezzabili e collettivamente condivise.
In altre parole, Paola Cortellesi può stare più o meno simpatica, ma la sua bravura non si presta a speculazioni: è un’artista a tutto tondo, un talento straordinario ed unico, pertanto imparagonabile.
Se davvero le si vuol fare un complimento, non bisogna paragonarla a nessuno, né ad Anna Magnani, né a Silvana Mangano, né ad altre attrici del passato per il principio basilare che ogni artista è unico ed irripetibile.
Rapisce l’attenzione della sala dietro la macchina da presa, nella veste di regista la Cortellesi si è superata. Sperimenta il ruolo da regista dopo aver maturato una lunga e pregevole esperienza da attrice, doppiatrice e sceneggiatrice; numerose sono le collaborazioni con suo marito, il regista Riccardo Milani, ed altri noti cineasta italiani.
E’ stata la sceneggiatrice di Scusate se esisto, Gli ultimi saranno i primi, Qualcosa di nuovo, Mamma o papà, Come un gatto in tangenziale, Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto, Ma cosa ti dice il cervello, Petra, quest’ultima una produzione andata in onda su SKY Atlantic e tratta dai romanzi di Alicia Gimenez-Bartlett per la regia di Maria Sole Tognazzi.
Per “C’è ancora domani”, Paola Cortellesi non è solo regista, ne cura la sceneggiatura insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda, quest’ultima figlia d’arte, sua madre è Cristina Comencini.
Una sceneggiatura raffinata che la Cortellesi ha affidato ad un variegato cast di attorici ed attori, tra i quali spicca l’amico e collega Valerio Mastrandrea che, per sua stessa ammissione, definisce il ruolo di Ivano il più difficile tra quelli fino ad ora interpretati.
Sebbene Vinicio Marchioni abbia girato solo pochi ciak, il suo personaggio è stato intenso, ma soprattutto funzionale per la costruzione del fraintendimento narrativo sapientemente elaborato, che offre al pubblico un delicato ed inaspettato colpo di scena.
Romana Maggiora eccelle nei panni di Marcella, la figlia maggiore di Delia e Ivano. Quella figlia nata nel secondo dopoguerra a cui non è stato consentito studiare, malgrado le spiccate attitudini e la voglia di capire e comprendere di più.
Il legame di sorellanza è quello che Delia stringe con Marisa, una sempre sorridente ed obiettiva Emanuela Finelli reduce dal David di Donatello per Siccità.
A rappresentare e raccontare la basi del patriarcato, steso in un letto dal quale detta legge, nonno Ottorino, un credibilissimo Giorgio Colangeli con il suo DNA di romano DOC.

Spetta a  Paola Tiziana Cruciani, Sora Rosa, la titolare di una merceria, rappresentare l’inizio del processo di emancipazione; emblematica la scena in cui il fornitore chiede che le fatture vengano firmate da un uomo, e lei con la sigaretta tra le labbra inforca la penna con una mano mentre con l’altra gira il documento nel verso giusto e pronuncia queste parole “qua un uomo non c’è stà, tocca accontentarse”.
Girato in bianco e nero, la pellicola non occupa tutto lo schermo del multisala, il formato è quello dei cinegiornali, mediante l’espediente narrativo del linguaggio filmico, in realtà l’impressione è stata quella di non aver visto un lungometraggio di finzione ma un docufilm.
La storia è ambientata a Roma nel maggio 1946. Delia abita in un seminterrato con suo marito Ivano, i suoi tre figli, Marcella e due ragazzetti discoli dal linguaggio piuttosto colorito, ereditato dal nonno e dal padre. I maschi hanno il privilegio di studiare, privilegio appannaggio del genere di appartenenza, Marcella, invece, lavora in una stireria ed aiuta economicamente la famiglia, o meglio sua madre Delia che si cimenta tra mille lavoretti. Con loro abita nonno Ottorino, perennemente chiuso nella sua stanza dalla quale comanda a bacchetta tutta la famiglia.
Le giornate di Delia sono tutte uguali, si svolgono seguendo il medesimo copione che pare non ci sia modo di modificare, alleggerire o semplicemente cambiare: preparare la colazione, prestare le necessarie cure al nonno Ottorino, rassettare il seminterrato che appare una vera impresa dal momento che aprire le finestre per far cambiare aria si trasforma nel raccogliere tutta la polvere proveniente dall’esterno, essendo esse poste allo stesso livello del selciato. Con abiti dismessi e rammendati, Delia affronta il lavoro fuori casa fatto di punture a domicilio, aggiusti di biancheria per la merceria della Sora Rosa, la realizzazione di ombrelli presso un piccolo laboratorio, il lavaggio delle lenzuola. L’unico momento di leggerezza della sua giornata è la spesa al mercato presso la bancarella della sua amica Marisa alla quale è difficile nascondere i segni delle violenze a cui Ivano la sottopone, ma c’è da capirlo, è nervoso, ha combattuto due guerre. Nella routine di Delia c’è poi anche un momento di nostalgia segnato dal passaggio dinanzi all’officina di Nino che tutte le mattine da trent’anni pensa che le cose avrebbero dovuto andare diversamente.
La consegna di una lettera a Delia direttamente dalle mani della portiera, provoca nella donna un forte senso di turbamento. Inizialmente non butta la lettera, la nasconde accuratamente così come da mesi nasconde alcune lire dai guadagni quotidiani da consegnare ad Ivano, in qualità di uomo di casa deputato ad amministrare i guadagni di Delia ma anche di Marcella. La somma accumulata in maniera carbonara è destinata all’acquisto dell’abito da sposa di Marcella il cui fidanzamento con un ragazzo apparentemente garbato, è imminente.
Delia ha smesso di essere donna per essere madre, quel senso di sopportazione, di dedizione, di sacrificio materno è evidente in ogni singolo fotogramma, in quella frase forte “il matrimonio è per sempre, non si torna indietro”.
Sarà il fidanzamento di Marcella con Giulio, osservare piccoli segnali, riuscire a leggere il sottotesto di alcune affermazioni a dare a Delia quel coraggio che evidentemente non credeva di avere, e compire così due atti rivoluzionari. Quei soldi destinati all’abito nuziale sono meglio investiti nell’istruzione, passaggio che non passa inosservato.
Ci sono in questo film, per il quale è davvero difficile trovare aggettivi capaci di descriverlo, delle scelte geniali. Oltre al bianco e nero ed al formato della pellicola, la regista mescola musiche del tempo a canzoni di Dalla e Concato, queste ultime coronano scene delicatissime, alle parole delle canzoni la Cortellesi ha affidato le battute dei personaggi.
Un’altra scelta preziosa è stata quella di mettere in scena la violenza, l’ira di Ivano che si sfoga sempre su Delia, come i passi di una danza, gli acuti della cantante diventano le urla di Delia ai colpi inferti da Ivano.
La violenza è raccontata ma mai ostentata, né spettacolarizzata.
Chi continua a pensare al cinema italiano sempre con uno sguardo rivolto al passato, dimostra di meritare di restare in quel passato. Il cinema italiano, oggi, è capace di produrre capolavori senza far rimpiangere il sovente citato neorealismo che ha fatto il suo tempo. Questo tempo racconta altre storie, con altri volti, con nuove voci. Ed a me queste storie, questi nuovi volti e queste altre voci piacciono tanto.
Non aspettate di vederlo in streaming, tutti i film meritano la sala. C’è ancora domani un po' di più.
 


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