Le emozioni sono palpabili, il pubblico è coinvolto fino alle lacrime, la narrazione segue il flusso delle emozioni. Il tema è un archetipo universale: il padre, la sua assenza nella costante presenza. Eccellenti Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich che in “Arturo” ( una stella che nell’evolversi lascia memoria di sé) si sottopongono a una lunga serie di ricordi personali tra il doloroso e il malinconico che come per incanto diventano ricordi collettivi e trasversali alle età. Scene la cui narrazione nasce da messaggi del pubblico e vanno a comporre il puzzle delle emozioni alle spalle dei protagonisti. Un percorso emozionale viscerale che non risparmia il dolore dell’accusa, il tormento del senso di colpa, la dolcezza di un bacio rubato o di un abbraccio per una delle figure più importanti nella vita di ognuno di noi. Il padre, figura emblematica cui contrapporsi nelle eterne lotte dell’adolescenza, in cui rifugiarsi nelle inevitabili sconfitte della vita, l’uomo al quale somigliare o dal quale allontanarsi, colto in tutti i difetti e in tutti i pregi in un lavoro che è stato scavare nelle anime. Molto coinvolgente messa in scena, le intuizioni di regia, il raccontare con apparente leggerezza il dramma dell’assenza che si fa tanto più consistente quanto più il distacco estremo non risponde ai tanti perché e ai tanti se che lascia in eredità. Ancora una volta un’ottima scelta della SOLOT che in Obiettivo T propone drammaturgie nuove e giovani talentuosi e che con “Arturo”, una produzione Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale / Rueda/Habitas ha colto ancora una volta nel segno e ha regalato incredibili emozioni.
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