“Io c’ero. C’ero quando arrivavano a casa i carabinieri e poi andavano via. C’ero quando lei lo perdonava perché lui piangeva pentito. Io c’ero, c’ero sempre” Tratto dall’omonimo romanzo di Antonella Lattanzi, nelle sale da due settimane la trasposizione cinematografica di Una Storia Nera. Leonardo D’Agostini dirige il film di cui cura la sceneggiatura insieme alla stessa Lattanzi ed a Ludovica Rampoldi, nota sceneggiatrice italiana che vanta collaborazioni importanti con grandi registi italiani tra i quali Marco Bellocchio, Gabriele Salavtores, Ivan Cotroneo. Leonardo D’Agostini aveva già lavorato con la Lattanzi alla sceneggiatura del suo primo lungometraggio, Il Campione, film con il quale ha esordito nel 2019. La collaborazione tra il regista e la scrittrice può dirsi collaudata; sarà stato questo il motivo per il quale chi aveva letto il romanzo uscito nel 2017, quando ha visto il film non ha mosso critiche alla trama, che viene fedelmente raccontata. Chi invece, come me sovente fa il percorso inverso, ha assistito ad un thriller psicologico perfettamente costruito. Laetitia Casta è Carla Semeraro, separata da Vito Semeraro a cui presta il volto Giordano De Plano, un volto assai noto del cinema italiano. Carla e Vito si conoscono in estate, durante una vacanza che Carla, turista francese, trascorre in Italia. Da quell’estate lei e Vito non si sono più lasciati, il matrimonio arriva dopo un breve fidanzamento. Carla e Vito sono stati felici. Poi qualcosa si rompe. L’indole violenta di suo marito si palesa subito dopo il matrimonio, come se la firma su quell’atto avesse comportato come clausola vessatoria a margine, dal carattere talmente piccolo da renderla illeggibile, anche il diritto di proprietà di Vito sulla vita di Carla, annullandone la capacità d’agire, di scegliere, di decidere, di vivere. Carla, cicatrici nel cuore e lividi sulla pelle, resta nel suo matrimonio per amore di Nicola, Rosa e Mara. Spinta dall’amore materno, prova a mantenere gli equilibri della sua famiglia. Lo fa per 20 lunghi anni vissuti nella costante paura di non urtare mai la suscettibilità di Vito, una parola sbagliata, una scelta non condivisa, azioni capaci di autodeterminazione, avrebbero scatenato la furia violenta fisica e verbale di suo marito, che avrebbe poi dovuto anche consolare perché, pentito, implorava il suo perdono. Con il passare degli anni, la percezione della proprietà e l’esercizio del possesso che Vito riteneva di rivendicare su Carla, diventava sempre più forte. Nicola era piccolo quando proteggeva Rosa premendole le mani sulle orecchie, provando così ad ovattare il rumore delle porte sbattute, degli oggetti lanciati, delle urla del padre. Le lacrime della madre invece erano silenziose, Carla le riservava alla sua immagine riflessa nello specchio del bagno, dove con il trucco camuffava i segni delle percosse. Questa era stata la vita di Carla per 20 anni. Anni di denunce che a poco erano servite, non si era mai sentita tutelata malgrado i lividi fossero un segno evidente, ma evidentemente non sufficiente. L’arrivo della piccola Mara non cambia le dinamiche di un rapporto malato. Carla riesce a trovare il coraggio per porre fine al suo matrimonio, ma i figli restano un legame, e quel legame è indissolubile. Il film inizia con il compleanno della piccola Mara, festeggiato a casa con tutta la famiglia, ci sarà anche il papà. Per espresso desiderio della bambina…pare…Vito torna dopo tanto tempo nella casa coniugale che aveva dovuto lasciare. Dopo quella sera, l’uomo sparisce. La scomparsa viene denunciata dalla sorella di Vito, una straordinaria Licia Maglietta; il legame di sangue tra i due era talmente forte da annullare qualunque forma di obiettività anche di fronte all’evidenza dei fatti. La sorella di Vito lo descrive come un santo, un lavoratore infaticabile, padre presente e marito devoto. La verità è sempre difficile da scrutare, da qualsiasi direzione la si guardi, quando ciò che mostra è orribile si preferisce negare. La scoperta del cadavere di Vito, ritrovato sull’argine del Tevere, sarà comunicato a Carla da una spietata PM, la dr.ssa Alaimo, interpretata da Cristiana D’Anna, sempre più brava e sempre più credibile. Il prosieguo del film narra prevalentemente il processo in capo a Carla, accusata dalla PM Alaimo in seguito alla sua confessione, di aver assassinato il marito, sebbene non creda al fatto che abbia occultato da sola il cadavere. La prova di simulazione giudiziaria, infatti, le darà ragione. Tutto ciò che accade dopo non può essere raccontato, non solo perché si svelerebbe troppo a chi il libro non lo ha letto, ha la curiosità di vedere il film, ma perché è da qual momento in poi che si comprende chi è il vero protagonista del film, chi con la sua testimonianza salva, chi quella sera era dove non avrebbe dovuto essere, chi scoprirà una verità sconvolgente. Il film inizia con un compleanno e termina con un compleanno, inizia con un segreto e termina con lo stesso segreto questa volta svelato. E come spesso mi capita, adesso devo leggere il libro Una Notte Nera di Antonella Lattanzi che Elide Apice mi ha prestato consegnandomelo insieme a Confidenza di Domenico Starnone. Il cinema è capace di fare anche questo, di favorire il processo inverso. A me, almeno, capita sovente. Anche questo film dimostra che il nostro cinema è bello, ben fatto e di qualità.
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