Un inventario di oggetti apparentemente banali (un vaso, la cuccia del cane, la tastiera qwerty nera e mille altri piccoli particolari) e per ognuno di loro il racconto di un momento di vita e la memoria che si apre ad orizzonti perduti. E’ così che Michele Ruol in “Inventario di ciò che resta dopo che la foresta brucia” (Terra Rossa ) attraversa il dolore di Madre e Padre in un lungo percorso che dura anni e che approderà ad una verità ben diversa da quella constatata e da quella immaginata. I protagonisti presenti, sebbene assenti, sono Maggiore e Minore (la scelta di non dare nomi rende il tutto ancor più coinvolgente in un certo senso universale), due fratelli, figli di Madre e Padre, una coppia come tante altre fatta d'amore, ma anche di assenze e di allontanamenti, di presenza costante, di voglia di fuggire e radici che bloccano. Un intreccio perfetto che scava nella profondità del dolore, quello che non si canalizza ma si sedimenta e stratifica e allontana da chi è vicino e finisce per avvicinare chi è lontano. Madre che apre una chat e dall'alta parte una ragazza che sa e capisce, padre che si avvicina un tradimento e intanto si allontana dal lavoro che è stata per lui l'unica ancora di salvezza. Su tutto la banalità di oggetti privi di significato per tutti e assolutamente significanti per chi li ha vissuti. Una storia intensa e potente col valor aggiunto dell’intuizione di una narrazione attraverso oggetti, una scrittura schietta e avviluppante che fanno di questo libro uno dei miglior se non il migliore tra le ultime pubblicazioni e confermano Terra Rossa come casa editrice dalle scelte attente e decisamente vincenti.
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