Nelle sale dal 30 ottobre, The Substance, ultimo lungometraggio della regista Corelie Fargeat, ha suscitato molto interesse ed altrettanta curiosità sin dalla scorsa estate, ovvero da quando è iniziata la campagna di promozione del film. Proiettato per la prima volta a Cannes, malgrado la reazione di una parte del pubblico che inorridito dalle scene forti ed esplicite ha preferito abbandonare la sala, l’opera oggettivamente forte e per certi aspetti disturbante della Fargeat è stato premiato per la Miglior Sceneggiatura. Personalmente credo che farà anche incetta di candidature agli Oscar 2025 per regia, sceneggiatura, scenografia, montaggio, effetti sonori, costumi e meritatissimo a Demi Moore come miglior attrice protagonista. Ambientato in un’epoca sospesa dove i costumi fanno pensare agli anni 80-90, l’uso di una chiavetta USB ed una smart tv, invece, al tempo presente; Demi Moore, 61 anni all’anagrafe, interpreta una ex icona al suo cinquantesimo compleanno. 50 anni, nel mondo dello show business, per le donne in particolare, indicano una data di “scadenza sociale”. Elisabeth Sparkle, attrice pluripremiata, approda giovanissima nel mondo del cinema grazie alla superlativa bellezza, un corpo tonico e scolpito, perennemente sorridente perchè “le belle ragazze devono sempre sorridere”. Le viene dedicata anche la stella sul marciapiede che costeggia l’Hollywood Boulevard, perché con il suo talento è riuscita a far brillare l’industria dello spettacolo mondiale. L’incipit che dà inizio al film parte dall’inaugurazione di quella stella; la minuziosa realizzazione dell’incisione del suo nome con caratteri dorati, la delicatezza adoperata per fare di quel simbolo un’altra piccola opera d’arte che rende omaggio ad Elisabeth, il suo nome brilla in quel marmo apparentemente capace di promettere alla star un successo granitico. La scena resta fissa sullo scintillante marciapiede, le persone inizialmente camminano attente ad ammirare le lettere dorate al centro della stella, poi folate di vento fanno danzare le foglie, la pioggia battente colpisce con forza la stella, le persone la attraversano velocemente senza soffermarsi, vi camminano sopra in maniera distratta, indifferente mentre il tempo segna crepe in quel marmo che sembrava indistruttibile, incapace di mantenere quella vana promessa. Un ragazzo, evidentemente molto maldestro, non riesce a reggere il cartone della pizza che si rovescia imbrattando la stella con una consistente quantità di pomodoro. Un pubblico attento, un pubblico che il film non li vede ma li guarda, si aspetta di ritrovare la medesima scena nel finale. Dal cinema alla televisione, Elisabeth conduce un programma di fitness in onda nella fascia mattutina e in onda su una rete televisiva gestita da Harvey, il produttore interpretato da Dennis Quaid. Un personaggio davvero mostruoso che indossa improbabili abiti damascati, ben lontano dall’eleganza, manifesta il suo potere di uomo che decide ed impone i canoni di bellezza femminile. Il suo ufficio, una enorme stanza con al centro una gigantesca scrivania dietro la quale detta legge, un divanetto che può accogliere al massimo tre collaboratori silenziosi e compiacenti, la segreteria di cui non riesce a memorizzare il nome quindi decide di cambiarlo: questo è Harvey. Licenzierà Elisabeth, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, per sopraggiunti limiti di età dal momento che non rappresenta più l’immagine avvenente che il pubblico vuole. Lo farà durante una scena stucchevole dove i movimenti di macchina con il dettaglio della bocca ed il suono con il rumore provocato dalla masticazione, mirano ad evidenziare la bruttezza del personaggio, decisamente mostruoso. La sostanza fa la sua comparsa come conseguenza della solitudine “sociale e professionale” di Elisabeth; la fine del suo personaggio viene decretata dagli operai che provvedono a staccare la sua immagine dai numerosi spazi pubblicitari che costeggiano i viali della città. Un incidente stradale dovuto alla distrazione di Elisabeth intenta ad osservare gli operai mentre tirano giù i cartelloni del suo programma televisivo, la condurrà in un ospedale dove il medico non le riscontrerà miracolosamente nulla di rotto, nemmeno una piccola frattura, sebbene la sua auto abbia più volte piroettato su sé stessa. Può essere dimessa, quindi il medico chiamato per un’emergenza lascia l’ambulatorio. Resta con lei un assistente dal volto angelico, gli occhi di ghiaccio ed una evidente macchia bordò sulla mano, osserva la schiena della ex attrice, segue con il polpastrello la linea della colonna vertebrale sussurrando “è perfetta”. Le porge il suo cappotto giallo che sarà, insieme ad Elisabeth, protagonista del film, ed uscendo dall’ospedale nella tasca del cappotto, avvolta in un foglio di carta da quaderno, trova un dispositivo USB sul quale è inciso The Substance. Elisabeth al rientro nel suo simbolico appartamento dove troneggia una sua gigantografia in body ginnico, siede sull’unica poltrona all’interno di un salone grandissimo e spoglio, illuminato da una vetrata a tutta parete dalla quale filtra la luce del giorno che si spegne quando incontra le pareti blu cobalto dell’appartamento minimalista. L’inquietante programma di giovinezza proposto da una non ben precisata azienda, viene descritto da una voce maschile calma e rassicurante, con tono neutro e sufficientemente chiaro spiega le singole fasi del percorso: la sostanza, un liquido giallo fluo, può essere iniettata una sola volta. L’effetto è “la versione migliore di te” più giovane, perfetta, bellissima, energica. Elisabeth è la matrice, la sua “versione migliore” Sue, vivranno a settimane alterne: una settimana per una. Il kit, da ritirare in un sobborgo della città, sarà pronto ogni due settimane e conterrà: l’alimentazione in flebo per una settimana sia per la matrice che per il suo alter ego, una pistola aspiraliquido del midollo spinale della matrice che Sue dovrà iniettarsi una volta al giorno per una settimana, un sistema di doppia flebo per il passaggio dei liquidi da effettuare al momento dello scadere della settimana durante il quale matrice e alter ego si scambiano il turno di vita. In modo più sintetico, il programma prevede che Elisabeth e Sue vivano a settimane alterne, senza mai alterare questo delicatissimo equilibrio. Ma cosa accade quando il tempo a disposizione di Sue viene percepito come non sufficiente a soddisfare le sue ambizioni, la sua voglia di emergere, la sua sete di successo? Gli effetti sono irreversibili, devastanti e catastrofici, esiste la possibilità di interrompere l’esperimento ma la decisione spetta ad Elisabeth, la matrice. Lo farà? Sarà tentata di farlo quando risvegliandosi dal lungo sonno durato una settimana e un giorno, noterà un cambiamento inquietante sulla sua mano destra? The Substance è considerato un body horror, sottogenere dell’horror, dove tensione, inquietudine, terrore sono causati da rappresentazione di deformazioni del corpo come mutilazioni, malattie genetiche o deturpazioni. Il film è caratterizzato da una storia irreale che affonda le radici in un problema sociale: l’avanzare dell’età con i suoi connaturati cambiamenti indica, soprattutto per le donne, una data di “scadenza sociale”. L’eterna giovinezza viene perseguita a tutti i costi, perdendo così di vista un fatto oggettivo relativo all’immodificabilità del dato anagrafico, per quanto si possa intervenire chirurgicamente l’età non si può cambiare. Denso di sottotesti, se si riesce a sopportare le numerose scene disturbanti, il film offre un’esperienza carica di contenuti ed una fortissima denuncia ad una società che considera l’avanzare degli anni un peccato imperdonabile, la vecchiaia come una fase della vita di cui vergognarsi. Invecchiare amplifica il senso di inadeguatezza, di inutilità, di solitudine perché la società accetta solo donne belle, giovani, energiche ed ammalianti. Donne dai fisici scolpiti, in forma, curatissime, che non possono permettersi di ingrassare, di trascurarsi, di mostrare le rughe, di non coprire i capelli bianchi. Non si fanno sconti a nessuna, nemmeno quando le donne non sono più giovanissime ma continuano a vantare una forma fisica di tutto rispetto. Come nel caso di Elisabeth che nel suo bagno bianco ottico, si osserva allo specchio completamente nuda, sebbene il sedere ed il seno non siano più sodi, la pancia quando non è compressa dal body ginnico riprende il suo accenno di morbidezza, il volto segnato dalle rughe, i capelli lunghissimi nero corvino, si convince di non avere alternative; se non vuole cadere definitivamente nell’oblio deve cedere alle richieste della società, deve prolungare la sua data di scadenza. In una sorta di Dorian Grey al femminile, i rimandi alle fiabe con la matrigna cattiva con le sembianze di una strega e la ragazza giovane e bella sono piuttosto evidenti, tuttavia c’è una differenza sostanziale perché i ruoli sono invertiti; è la matrigna a subire la sete di fama e di successo della ragazza giovane e bella. Il conflitto interiore si palesa all’esterno attraverso una lotta senza esclusione di colpi tra la matrice ed il suo alter ego. Il film è molto colorato, il corridoio rosso degli studi televisivi, il cappotto giallo di Elisabeth, l’appartamento dalle pareti blu cobalto, il bagno bianco ottico, il vestito rosso che lei indosserà per un appuntamento improbabile a cui, in condizioni normali, non avrebbe mai pensato. Sue è rosa, rosa il body, rosa le camicie, rosa il trucco, rosa i calzini. Giallo fluo la sostanza. La palette di colori forti e fluo rimanda ad emozioni altrettanto forti. La regia punta su primi piani e dettagli con effetti ottici particolari capaci di catapultare il pubblico nel film, con la consapevolezza di sortire espressioni di orrore e ribrezzo. La stella sull’Hollywood Boulevard non ha mantenuto la promessa; al tempo immutato, forse, resiste solo il marmo. Chissà!
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